L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La dama discreta

 di Roberta Pedrotti

 

Viktoria Mullova con l'Accademia Bizantina in concerto a Bologna: un binomio consolidato che non ha certo deluso in termini di eleganza e buon gusto, nonostante un eccesso di discrezione e precauzione antidivistica da parte della violinista moscovita.

BOLOGNA 29 aprile 2015 - Lunedì, per Musica Insieme, abbiamo ascoltato Rinaldo Alessandrini e il Concerto Italiano in Vivaldi e Bach [leggi la recensione]; mercoledì, con Bologna Festival, ecco Bach ed Haendel con l'Accademia Bizantina e Viktoria Mullova. Settimana di lusso, non c'è che dire, per il '700 all'ombra delle Due Torri.

Il programma non annuncia nessun brano solistico per la violinista russa, né tale sarà il bis (Bach, Largo dal Concerto BWV 1056), a ribadire come il fulcro della serata non consista nel nome di spicco, nelle aspettative e nel richiamo che legittimamente può suscitare, ma nella sua collaborazione, quasi da prima inter pares, con il complesso ravennate. Si apprezza senza dubbio l'impostazione antidivistica, che si esprime soprattutto in una musicalità di grandissimo gusto, in un impasto timbrico invero ben trovato e assai piacevole, in cui spicca l'eleganza della Mullova, il colore ammaliante, caldo e ambrato, del suo Guadagnini con corde di budello, una vera delizia sonora. Proprio per questo un po' ci è spiaciuto non ascoltare nemmeno una paginetta solistica per poterne gustare ancora le qualità, tanto più che il programma era di per sé piuttosto breve.

Abdicando al mito del concerto per solista virtuoso di marca paganiniana, la Mullova interpreta i tre concerti bachiani previsti (in la minore BWV 1041, in re maggiore trascrizione del BWV 1053 e in mi maggiore BWV 1042) ricercando una linea asciutta e ripulita da ogni estroversione di sapore posteriore, con spirito quasi cameristico, aiutata da un organico snello nel quale tutto si gioca nei toni della discrezione, dell'eleganza di fraseggio, di un barocco il cui fine sia più l'intimo affetto che la meraviglia.

L'amalgama con l'Accademia Bizantina – e segnatamente il primo violino e direttore Alessandro Tampieri, la violinista Lisa Ferguson, il violista Diego Mecca, Marco Frezzato al violoncello, Nicola Dal Maso violone e Francesco Baroni al clavicembalo – è perfetto, l'intesa profonda, sì che il discorso musicale scorre fluido, riassorbe naturalmente in sé anche l'eventuale piccola sbavatura, resa impercettibile proprio dall'affiatamento e da quel modo di porgere fine e garbato che contraddistingue questa bella collaborazione fra musicisti. Impossibile non ricordare e non lodare, da questo punto di vista, la Sonata in sol maggiore op. 5 HWV 399 di Haendel, che vede protagonisti solo i sei elementi dell'Accademia Bizantina con stile, finezza, articolazione asciutta e naturale degni di lode e in linea con il livello dell'intera serata.

La forza di questa concezione non gerarchica della musica d'assieme, di questo spiccare del timbro e del fraseggio in virtù, semplicemente, della pura pregnanza della frase e della struttura della partitura e non della personalità e del virtuosismo è però collocata su un crinale sottile e scosceso. Rischia, insomma, di trasformarsi in un limite, là dove non il divismo, ma solo una maggior incisività solistica, un carisma più illuminante di quello deliberatamente sfuggito dalla Mullova avrebbe infuso maggior vitalità alle interpretazioni.

Evitare di soverchiare il valore del complesso e l'equilibrio delle parti, risolvere tutto nell'eleganza di un discorso musicale unitario è sicuramente scelta intelligente, basata oltre sul buon gusto, anche sulla consapevolezza stilistica di tutti gli interpreti. Tuttavia, proprio per questo, il carisma ben ponderato può essere una risorsa più che un pericolo per l'insieme e l'interpretazione. Non è, infatti, del protagonismo virtuosistico che abbiamo sentito la mancanza, non dell'estro geniale o di chissà quale altra affermazione di personalità, ma solo di quel lampo di magnetismo in più, quel bagliore di gelo o di fuoco che fa la differenza.

Un concerto d'indiscutibile eleganza, insomma, esecuzione pulita, chiara, calibrata nelle scelte timbriche e dinamiche fino a farci innamorare di quel meraviglioso Guarnieri suonato con tale sofisticata delicatezza. Ma, anche, un'interpretazione talmente misurata, riservata, pudica, da non lasciarci varcare la soglia che separa la soddisfatta ammirazione dal grato entusiasmo.


 

 

 
 
 

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