Essenza - cameristica - di gioventù

 di Roberta Pedrotti

 

Quattro compositori fra XVIII e XX secolo colti nella gioventù o nel mezzo, talora precoce, del cammin di loro vita per il concerto della Prague Chamber Orchestra che, con la solista Mariangela Vacatello, ha chiuso in bellezza la stagione di Musica Insieme. Dopo il recupero del concerto di Zimerman posticipato per indisposizione, l'appuntamento è per l'autunno, quando il cartellone si aprirà all'insegna del barocco inglese di Purcell.

BOLOGNA, 11 maggio 2015 - Diamo un po' i numeri: si comincia con la Suite per archi JW 6/2 che Janacek scrisse presentandosi a Vienna a soli ventitré anni, quindi il concerto per pianoforte che Beethoven fece eseguire per la prima volta nella stessa città quando ne aveva venticinque, riprendendolo e rivedendolo a trentuno, mentre a ventisei Samuel Barber completò il suo celeberrimo Adagio per archi. In questo percorso fra giovinezze artistiche al tramonto del XVIII secolo, nella seconda metà del XIX e nella prima del XX, nel mezzo del cammin cogliamo Beethoven, destinato a morire a soli cinquantasette anni, ma anche Dvorak, il più anziano del gruppo al momento della composizione della sua Serenata in mi maggiore op. 22 con i suoi trentaquattro anni, poco più della metà dei suoi estremi sessantaquattro.

Ecco che un rapido sguardo matematico si traduce in chiave di lettura e fil rouge per il concerto di chiusura, si esclude l'appendice imprevista dovuta al posticipo forzato del recital di Krystian Zimerman dal 23 marzo al 2 giugno, della stagione 2015/16 del Bologna Festival, affidato, in grande stile, a una formazione cameristica, in linea con la vocazione storica della rassegna.

La Prague Chamber Orchestra è un modello esemplare nel suo genere, che non va confuso con quello, per esempio, dell'Orpheus Chamber Orchestra ascoltato qualche settimana fa per il Bologna Festival [Leggi la recensione]. Il gruppo statunitense, infatti, si affiliava alla famiglia cameristica per l'organico non particolarmente numeroso e per la rinuncia al direttore, ma se a questa univa anche la continua rotazione delle prime parti e la rinuncia all'individuazione fissa di un primo violino come punto di riferimento stabile, l'attività dei boemi contempla collaborazioni con bacchette anche assai prestigiose e si raccoglie compatta, anche quando si esibisce da sola, attorno alle proprie prime parti e al primo violino in particolare.

Quando poi, come nella prima parte del programma proposto a Bologna, si esegue un concerto per pianoforte e orchestra del giovane Beethoven, allora tutto si gioca nel rapporto strettissimo con il solista alla tastiera e nell'equilibrio che ne consegue. In questo caso gustiamo proprio l'intimità cameristica che restituisce al pezzo tutta la freschezza delle sue origini nella Vienna di Mozart e in un'Europa che, se già aveva visto maturare fermenti filosofici, poetici e politici, non era stata ancora sconquassata dal deflagrare della Rivoluzione Francese e dalle sue conseguenze. Mariangela Vacatello, al piano, ha la grazia nel tocco e il garbo nelle tinte e nel fraseggio che si sposano felicemente con il suono dell'orchestra da camera boema, una mano sinistra che sa dare corpo all'aroma delicatamente fruttato della destra. E, dopo il piacere di una lettura d'intima eleganza, due bis non privi di una certa audacia. La campanella di Liszt è pezzo altamente virtuosistico in cui la Vacatello si getta ardimentosa a capofitto, e se più del coté acrobatico ottocentesco sarà stato quello settecentesco a colpirci e convincerci, non potremo non ammirare il versatile coraggio. E coraggio vogliamo riconoscere anche al secondo bis: quale brano, infatti, è più noto e abusato di Per Elisa? Quale brano gode di fama parimenti inversamente proporzionale alla frequenza d'esecuzione da parte di pianisti titolati. La Vacatello è giovane ma non è una debuttante, dimostra di non temere d'apparire scontata nelle scelte di repertorio e questo è un pregio che ci auguriamo possa accompagnarla in una carriera segnata dal coraggio di essere sempre, semplicemente, se stessa: la miglior qualità per un'artista.

Sola, la Prague Chamber Orchestra affronta Janacek, Barber, Dvorak, senza rinunciare a offrire a sua volta un piccolo bis. La pulizia del suono, l'eleganza del porgere, il nitore dell'impasto timbrico, il garbo espressivo sono i medesimi ammirati in Beethoven e costituiscono la cifra distintiva, a di là del numero di esecutori o delle loro gerarchie, dell'essenza di un'orchestra da camera. Se l'Adagio di Barber dipana l'elegia melanconica in un'unica arcata, l'equilibrio fra i diversi movimenti della Suite (un vero biglietto da visita viennese per il giovane moravo) e della Serenata del boemo mostra tutta la fluidità di fraseggio e la chiarezza d'articolazione dei musicisti praghesi. A tutti gli effetti non piccola orchestra, ma ampio complesso da camera.

Buon successo, già sfogliando il programma della prossima stagione [leggi stagione 2015/16 di Musica Insieme].