Teatro a una voce

 di Roberta Pedrotti

Nicola Alaimo chiude il ciclo del Concerti di Belcanto del Rof 2015 con un programma nel quale dispiega tutta la sua intelligente comunicativa, supportato dal pianoforte del sempre eccellente Richard Barker.

PESARO, 21 agosto 2015 - Di concerti vocali, a Pesaro, se ne son sempre fatti, ma è nel 1998 che l'allora direttore artistico Luigi Ferrari inaugura il ciclo dei Concerti di belcanto, brevi aperitivi solistici, in genere circoscritti – almeno, per programma ufficiale – nella durata di un'oretta, prima dell'opera serale. In questi diciotto anni sono sfilati cantanti giovani e affermati, fra arie da camera e d'opera, rarità e grande repertorio, Rossini e non solo, in italiano, francese, tedesco, inglese, russo, spagnolo, cinese...

I Concerti di Belcanto sono piccoli cadeau e autoritratti d'artista, sempre diversi, ma sempre eloquenti. Oggi, poi, offrono anche la possibilità di godere di una delle migliori sale italiane per la musica da camera, l'Auditorium Pedrotti, già gloriosa sede anche di rappresentazioni teatrali (fra cui il primo Viaggio a Reims), per le quali si è reso però, ormai, troppo angusto. L'acustica resta un gioiello, l'architettura sempre accogliente ed elegante, un vero piacere che si rinnova ad ogni concerto.

L'ultima occasione, per questo Rof 2015, è venuta con il recital di Nicola Alaimo, che galantemente chiudeva i tre appuntamenti aperti dalle voci femminili di Chiara Amarù [leggi la recensione] e Olga Peretyatko [leggi la recensione]. Chiudeva con un recital d'impostazione diversa rispetto alle colleghe, di difficoltà diverse ma non inferiori, anzi assai esposto per il fitto susseguirsi di arie d'opera. Un programma generoso e teatrale, nel quale l'apertura dedicata a Mascagni (Serenata), Denza (Occhi di fata), Gastaldon (Musica proibita) e Tosti (L'alba separa dalla luce l'ombra) non ha sapore di scontato o disimpegnato, madi una passione schietta d'altri tempi, nel senso migliore del termine. L'accento, senza tradire la natura intima o popolare dei singoli pezzi, è subito teatrale, per la sua plasticità sanguigna che, comunque, non si fa mai esteriore, ma è disciplinata da un gusto moderno, da una musicalità insieme fine e comunicativa.

Seguono i brani d'opera, fra i quali la cartina di tornasole è il “Sois immobile” dal Guillaume Tell, che il baritono palermitano già inserì nel suo debutto concertistico pesarese (2011, recital di arie e duetti con Mario Cassi) prima di interpretare l'opera completa nell'estate del 2013 [leggi la recensione]. Impossibile dimenticare il fraseggio curatissimo e levigato, i colori e le dinamiche ricercati già nella bella esecuzione di allora. Oggi la frequentazione scenica del personaggio vede evolvere quel cesello in una nuova plasticità della parola, svilupparsi in una dimensione tridimensionale del canto. Non a caso, non si esegue solo l'aria, ma, orbata degli interventi di Gesler, Jemmy e del coro, tutta la scena a partire da “Je te bénis en répendant des larmes”.

Le arie di Bellini (sortita di Riccardo dai Puritani) e Donizetti (cavatina di Severo dal Poliuto), sempre complete di recitativi e cabalette, confermano la forza e l'intelligenza espressiva di Alaimo, la capacità di mettere a frutto con accenti incisivi e ben calibrati una vocalità dalla grana assai personale, la cui brunitura trova morbidezza più che nel velluto naturale nell'istinto poetico e nella cura musicale dell'artista. L'acuto è facile per natura e più disciplinato rispetto a un tempo. Non sempre risulta perfettamente avanti, ma è sempre a fuoco ed è chiara la consapevolezza crescente del proprio strumento.

Dopo la nascita del baritono nel belcanto del primo romanticismo, tre declinazioni fra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo. Sicuramente ora lo Jago verdiano è lontanissimo dal repertorio e dai progetti di Alaimo, ma il suo Credo è impressionante per la misura tagliente con cui soppesa la parola, la stringe fra i denti e dipana il satanismo boitiano con un modernissimo gelo che fa percepire la sua voce come più nera che mai. Viceversa, nelle parole dello stesso poeta e nelle note dello stesso compositore, Falstaff promana una vitalità contagiosa, pur imponendosi con la stessa autorità, pur insinuando le ombre dell'ambiguità anche nella simpatia di un personaggio non certo monodimensionale. E il gusto del testo del monologo dell'onore c'è tutto, come c'è tutto l'accorato slancio ideale della perorazione di Sancho Panza in difesa del “pouvre idéologue”, il suo padrone irriso dagli ospiti di Dulcinée nel Don Quichotte di Massenet, altro brano cui la frequentazione teatrale conferisce anche in concerto una partecipazione particolarmente coinvolgente, accorata e commuovente.

Per i bis, Alaimo propone un trittico di sicuro impatto: poiché, in questo stesso ROF, interpreta un a parte in napoletano (Don Pomponio nella Gazzetta - leggi la recensione), ecco una canzone napoletana idealmente offerta dal suo personaggio; poiché il baritono è orgogliosamente palermitano, pesarese ora d'adozione e residenza ma sempre legatissimo alla sua terra, eccolo sostituire al piano Richard Barker per accompagnarsi personalmente nella serenata E vui durmiti ancora!, splendido gioiello della tradizione siciliana; poiché siamo a Pesaro, non si può non chiudere con “una rarità quasi inedita” di Rossini, come annuncia maliziosamente Alaimo prima di attaccare l'aria forse più nota mai scritta, “Largo al factotum”.

Nel riportare il caloroso successo di pubblico, direttamente proporzionale al calore sempre espresso da Nicola Alaimo, non possiamo non riservare un plauso particolare al maestro Barker, squisito interprete della trascrizione del preludio al IV atto dell'opera di Massenet e sempre storico punto di riferimento nell'arte di accompagnare il canto.  

foto Amati Bacciardi