L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La magia dei grandi Russi

 di Pietro Gandetto


Prosegue il tour italiano della London Philarmonic Orchestra con un meritato successo al Teatro alla Scala grazie all’intensa direzione di Vladimir Jurowski e al tocco magico del ventiquattrenne pianista russo Daniil Trifonov, nel Concerto per pianoforte e orchestra in si bemolle minore, op. 23, di Pëtr Il’ič Čajkovskij e nella sinfonia n. 8 in do minore op. 65 di Dmitrij Šostakovič

Milano, 7 settembre 2015 - Ogni opera di Čajkovskij, se ben eseguita, è un’esperienza mistica. È come essere intrappolati in una sinuosa ragnatela formata da un tessuto melodico solenne, maestoso e monumentale, fatto di temi contrastanti che si inseguono e combattono senza tregua. Dramma e frivolezza, maestosità e intimismo, malinconia e brillantezza. Nella sintesi di questi poli risiede la chiave interpretativa del Concerto in si bemolle minore composto tra il 1874 e il 1875. Concerto romantico per eccellenza, fonte di ispirazione per tutti i grandi a venire, la partitura alterna al virtuosismo epico ed evocativo dell’orchestra motivi pianistici fortemente elegiaci e meditativi.

La direzione di Vladimir Jurowski è stata impeccabile. Animalesca, intensa e quasi ipnotica. Quando si parla di direttori come Jurowski, è difficile limitarsi ad un’aggettivazione prettamente musicale. Perché, quando è sul palco, Vladimir Jurowski non sembra solo un direttore d’orchestra, ma un vero generale, che ispira, incoraggia e istruisce a dovere il proprio esercito anche solo con uno sguardo, più eloquente dello sbracciamento di molti altri direttori. Lo sguardo di chi sa cosa vuole dalla sua orchestra. E lo ottiene. Il gesto è puntuale, essenziale, autorevole. Precisamente indirizzato a ogni singola sezione, che nulla lascia al caso.

Già dal carismatico attacco del primo movimento Allegro ma non troppo e molto maestoso, si è intuito il livello della serata. Quel che più si apprezza di orchestre come la titolata LPO è la compattezza, la tornitura del suono, le dinamiche, la ricerca di un risultato “unitario” e omogeneo, frase per frase, nota per nota e pausa per pausa. Ottimi lo slancio ritmico, la narrazione melodica e i brillanti colori orchestrali.

Perfetta sintonia d’intenti tra l’orchestra e l’enfant prodige Daniil Trifonov, a soli 24 anni protagonista del firmamento pianistico internazionale. Particolarmente apprezzata la capacità del pianista russo di dominare lo strumento negli ampi e poderosi accordi del I movimento, la delicatezza del tocco nelle pagine più elegiache del II e la resa ritmica nella fioritura delle danze del III. Dopo la fine della prima parte del concerto, vera e propria standing ovation per Trifonov, che ha eseguito, come encore,  un estratto di una sonata da lui stesso composta.

Dopo un breve intervallo, il concerto riprende con Dmitrij Šostakovič, che nel 1943 regalava all’umanità la sinfonia n. 8 in do min. op. 65, diretta per la prima volta da Evgenij Mravinskij nello stesso anno. Pur senza un espresso riferimento a un evento particolare, la seconda sinfonia “bellica” (a differenza della prima, la n. 7, dedicata alla battaglia di Leningrado), trasuda in modo inequivoco il clima di sconforto e disperazione della massacrante guerra della Russia contro la Germania. La struttura richiama quella di un Requiem. Cinque movimenti, coesi l’un l’altro come se fossero un continuum, monumentale e malinconico omaggio alle vittime innocenti dell’invasione tedesca.

L’attacco fermo e incisivo di Jurowski introduce l’elegante motivo portato degli archi in un incedere incalzante che rievoca la marcia delle truppe sovietiche. I ritmi serrati, i crescendo e le veementi sciabolate orchestrali ben hanno reso quel senso di annientamento, di tensione e di distruzione che probabilmente Šostakovič ha davvero vissuto. Non c’è trionfalismo, non c’è grandeur, c’è pathos, veemenza, e un pizzico di malinconia.

Palpabile la tensione emotiva fra i presenti. Quei concerti dove nessuno sussurra e nessuno si muove, quasi nel timore di essere davvero in guerra.  A fine serata, forti gli applausi e i bravo per il direttore e per le singole sezioni, alzatesi in piedi una a una in segno di cortese ringraziamento.


 

 

 
 
 

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