Elettronica d’arte, digitale del consumo

 di Valentina Anzani

Tra le sale di palazzo Re Enzo e gli immensi padiglioni di BolognaFiere si è svolto per l’ottavo anno consecutivo il roBOt08, festival internazionale delle arti digitali. Il festival ha accolto esponenti tra i più quotati dell’elettronica di consumo, registrando grande affluenza di pubblico.

Leggi anche la recensione specifica della serata d'apertura, il 07/10/2015

Bologna, 7-10 ottobre 2015 – Se la contemporaneità chiede a gran voce linguaggi nuovi, efficaci e al passo con i tempi, capaci di creare comunicare e emozionare, è imperativo dare spazio alle nuove sperimentazioni con ottimismo, curiosità e senza pregiudizio. Nasceva così il festival roBOt, per prestare attenzione alle realtà musicali elettroniche (emergenti e non) e creava un appuntamento annuale per appassionati e artisti del settore; esperienza dal successo crescente, si è trasformato in un evento sempre più grande, che si è imposto sul panorama internazionale e che accoglie oggi un ampio ventaglio di artistiche si dedicano alle arti digitali e alle sperimentazioni delle nuove tecnologie. Un festival di tali proporzioni sarebbe ideale sede di riflessione su come non farsi sopraffare dal digitale e anzi usarlo creativamente, propositivamente, con intelligenza, con individualità; eppure, abbandonata l’atmosfera dei pilastri di cemento, degli ex parcheggi multipiano, centri sociali e circoli indipendenti bolognesi, il roBOt08 sembra aver dimenticato, con quelli, le radici da cui è nato e molta parte della sua spontaneità creativa. Da coacervo di idee, ritrovo di sperimentatori del suono alternativo, da luogo di creazione e d’ispirazione, sembra essere scivolato nella sfera del passatempo notturno d’elite. Sembra che comprare il biglietto non sia più una questione che riguarda l’ascoltare musica di qualità oppure no, bensì l’essere o meno tra i privilegiati che parteciperanno a un evento esclusivo. E il sospetto di scadere nel mero consumismo getta un’ombra sulla fruizione di chi vorrebbe accedere a una manifestazione che si proclama “d’arte”.

Preso atto di questo, la nuova direzione presa dal festival, nell’allontanarsi dalle vere e proprie sperimentazioni elettroniche, si orienta verso i gusti di un pubblico esigente in fatto di sonorità da dancefloor e mette in piedi una macchina organizzativa dalle enormi proporzioni che riscuote un grande successo e pari risonanza. I numeri di partecipazione di quest’anno infatti hanno superato di molto quelli passati, senza che la qualità della fruizione ne risentisse. Tra spazi attrezzati, braccialetti cashless che annullano le attese al bar, controlli di sicurezza esigenti, Shape è stata impeccabile. L’offerta musicale e performativa era poi davvero vasta: con almeno tre esibizioni in contemporanea per ognuna delle sedi, si sono susseguite proposte di audio, video, dj set, progetti di animazione grafica e performance, senza contare i workshop e gli eventi esterni.

Come contesto atto al divertimento e alla distrazione, al roBOt08 il gusto personale diventa il metro di giudizio dell’ascolto: si è nel mood giusto per ricercare le variazioni minime di un artista che fa delle infinite ripetizioni la propria cifra stilistica? Si è oppure più sensibili ai ritmi serrati, ai volumi altissimi? Si è disposti ad accettare i momenti di calo della tensione in favore di una contemplazione creativa? Ognuna di queste sfumature è accessibile, se si vaga tra i saloni del palazzo Re Enzo e tra i padiglioni della Fiera aspettando di essere richiamati dal sound che più incuriosisce, oppure seguendo una scaletta personale, programma alla mano (grazie anche all’apposita App perfezionata per l’occasione).

Si trova di tutto, dal puro audio alle esibizioni accompagnate da video che amplificano, aprono una ulteriore via di evasione, come per le esibizioni di Biosphere o di Godblesscomputers. Vi è chi si affida alla sola tecnologia, oppure chi è attivo mezzo del proprio suono tramite la voce, come Philipp Gorbacev, che, saltellante dietro la consolle, canta con energia, come anche il mistico duo Sherwood Pinch, o la calda Suz. Ta gli altri, vi è Koreless, intimo e allo stesso tempo totalizzante: non si concentra su pattern ritmici, ma opera una vera e propria ricerca del suono, su onde in riverbero: il risultato è acquatico, cristallino, di grande respiro. Pubblico inevitabilmente danzereccio invece per Powell, artefice di una entusiasmate techno fittissima, e il travolgente Populos, ma non è da meno l’hip hop epico di Evian Christ.

I protagonisti sono numerosissimi, mostri sacri internazionali al fianco di artisti emergenti e ciò che accomuna tutti, carta vincente, sono i volumi: potenti da diventare vibrazione viva, azione fisica sul corpo. Si spazia dai sound più astrali, come Lorenzo Montanà, o Alessandro Cortini con i suoi arpeggi di oscillazioni accoglienti, ai grandi nomi della scena internazionale della musica elettronica di consumo. Questi si sono susseguiti sul Main Stage in Fiera: qui si poteva esperire lo stridore dilaniante di lamiere lanciato da Squarepusher, tanto feroce da aprire scenari bellici per la violenza della sua acid house, l’attesissimo animatore del dancefloor Trentemøller e i portatori di sintesi d’oltralpe della formazione dei Siriusmodeskeletor, imperdibili, accompagnati da seducenti visual (firmati Pfadfinderei) con cui riempirsi gli occhi tra un saltello e l’altro.

Entusiasmo palpabile per i partecipanti danzerecci, un po’ meno per i cultori puristi del suono elettronico, l’ottava edizione del festival si chiude per tutti con l’attesa del prossimo roBOt: le sorprese non mancheranno.