Figli della luce

 di Carla Monni

La terza serata del Bologna Jazz Festival ha riempito l'Unipol Auditorium bolognese grazie al trio Children of The Light, la straordinaria sezione ritmica del celebre quartetto di Wayne Shorter, nonché tre assi nei loro rispettivi strumenti.

Bologna, 30 ottobre 2015 – Danilo Pérez al pianoforte, John Patitucci al basso elettrico e contrabbasso e Brian Blade alla batteria, un trio che ha alle spalle già due premi Grammy – come parte del quartetto formato da uno dei più grandi geni viventi del jazz, Wayne Shorter – da circa due anni si esibisce sui palcoscenici mondiali presentando il disco "Children of The Light", pubblicato dalla Mack Avenue Records – progetto di chiara influenza shorteriana – approdato all'Unipol Auditorium bolognese per il terzo concerto del Bologna Jazz Festival.

Il disco si presenta come un concept album in cui tutti i brani ruotano attorno al tema della luce – una luce che gli stessi musicisti desiderano trasmettere al loro pubblico – nato sotto il lume del loro mentore Wayne Shorter con il preciso obiettivo di recuperare con la propria musica quell'innocenza infantile ormai persa, e trasmetterla all'intera umanità.

Accanto al tipico processo creativo, in Children of the Light si materializzano momenti di riflessione, densità della trama sonora, impressioni momentanee, spazi cameristici, contorni musicali sfuggenti che trasmettono all'ascoltatore un’atmosfera immaginaria. Quella emessa dai tre strumentisti è una vera e propria musica impressionistica, incentrata su coloriture e sfumature timbriche, a partire dalle corde gravi, l’uso dell’archetto, la musicalità accattivante e la dinamica perfetta di Patitucci, ma anche ricca di una molteplice varietà di tempi e ritmi, come in Looking for the Light, dove Pérez amalgama la propria classicità e liquidità sonora a ostinati ritmici e cluster di note. Una musica semplice nella sua bellezza, ma mai banale o prevedibile, nonostante la assodata formula strumentale del trio jazz, che Pérez, Patitucci e Blade – fortemente ferrei nell'interplay – sapientemente rinnovano, non apparendo mai scontati.

Il trio è fortemente interattivo, i ruoli sono paritari e distribuiti equamente, nonostante maggiore sia l'esposizione del pianoforte e del contrabbasso. L'improvvisazione stessa è empatica, risultato di un dialogo fluido tra i musicisti, in cui si coglie un approccio particolarmente aperto, determinato anche dalle strutture compositive dilatate dei brani. Il dialogo sfonda la sfera dei musicisti per invadere quella del pubblico, che diventa parte attiva dell'esecuzione. I gesti nel produrre quelle note e l'intensità fisica nell'eseguire la miriade di ritmi di cui i brani sono intrisi – si pensi alla netta gestualità e corporeità di Blade, possente e deciso con le sue bacchette su piatti e rullante, che spesso introduce cambi di direzione e umore, fino ad esplodere con colpi di scena – hanno portato l'ascoltatore a partecipare con qualche urlo e fischio di incitamento.

 

I cambi di atmosfera sono spesso il risultato di una sottrazione attuata dai musicisti stessi, che magari decidono di non suonare, scherzando tra loro a mo' di botta e risposta. I tempi rimangono quasi sempre sospesi, come per esempio in Children of The Light, in cui lo sviluppo musicale si fa sempre più intenso e sembra non chiudersi mai definitivamente, per poi concludersi con un accordo quasi spezzato. Non poteva mancare l'omaggio al loro mentore, Shorter, a cui dedicano una rilettura di Dolores, totalmente modernizzata, in cui primeggia il pianoforte di Pèrez con cambi ritmici improvvisi, accompagnati dalla dinamica precisa e dal background saldo del contrabbasso e della batteria.

La serata si chiude con Besame Mucho, il saluto finale al pubblico dell'Auditorium in cui è chiara – per quanto breve – la citazione di Estate di Bruno Martino, forse un omaggio al pubblico italiano, il cui calore si è amalgamato assai bene con l'energia dei tre musicisti. Un trio dal mood coinvolgente dunque, secondo il New York Times una «band of spell binding intuition, with an absolute commitment to the spirit of discovery, it has had an incalculable influence on the practice of jazz in the 21st century».

foto Achille Serrao