Voce solitaria

  di Francesco Bertini

Un pubblico invero scarso accoglie l'interessante recital veneziano di Max Emanuel Cencic, che si scalda nel corso della serata risultando nel complesso più convincente nel cantabile rispetto alle arie più agitate.

VENEZIA, 9 dicembre 2015 - Nato come propugnatore musicale estivo, da un paio di anni il Venetian Centre for Baroque Music organizza anche una stagione invernale, ricca di eventi sparsi nelle più disparate sedi offerte dalla città lagunare. Il Teatro Malibran è luogo ideale, forse anche troppo vasto, per ospitare un concerto vocale.

Ancora una volta, come in occasione della serata con Ann Hallenberg dello scorso maggio [leggi la recensione], è presente l’Orchestra il Pomo d’Oro che intona, su strumenti d’epoca, l’allettante programma incentrato su arie napoletane d’epoca barocca. L’ispirazione è desunta dall’ultimo compact disc inciso dal controtenore Max Emanuel Cencic che presenta al pubblico alcuni brani dei più rilevanti autori, a cavallo tra XVII e XVIII secolo. Maxim Emelyanychev guida la sparuta compagine sedendo anche al cembalo, nella duplice funzione di basso continuo e solista durante il Concerto per clavicembalo in Re maggiore di Domenico Auletta. L’ensemble non è però sempre preciso, in particolare per quanto attiene l’intonazione, e sembra mancare del giusto spirito durante l’esecuzione. Questa debolezza si nota, oltre che nell’accompagnamento del solista, anche nella Sinfonia VII in Do maggiore di Domenico Scarlatti e nel soave e poetico Adagio e fuga in Sol minore di Johann Adolf Hasse.

L’intera prima parte è incentrata su due differenti partiture di Didone abbandonata che viene presentata nelle versioni offerte da Domenico Sarro ("Se resto sul lido" e "Su la pendice") e Nicola Porpora di cui Cencic esalta la cantabilità, dolce e brumosa, di "Torbido intorno al core", riuscendo meno efficace nell’aria di furore "Agitata è l’alma mia".

Dopo il breve intervallo si avvicendano, tra gli altri, Leonardo Vinci con "In questa mia tempestatratta da Eraclea e Alessandro Scarlatti con "Miei pensieri" da Il prigioniero fortunato. Colpisce, in special modo, il canto delicato e suadente infuso a "No, non vedete mai" dal Siface di Leonardo Leo dove Cencic trova terreno fertile per dare sfogo alla propria vena elegiaca, sostenuta da un’intenzione interpretativa più marcata.

La prestazione del solista, un po’ spento durante la serata, forse anche a causa dell’esiguo numero di ascoltatori, si riscatta verso la conclusione del programma. In "Qual turbine che scende" da Germanico in Germania di Nicola Porpora, l’artista presta maggiori attenzioni al fraseggio e agli effetti coloristici abbinati all’agilità, specie nel registro centrale.

Il solo bis concesso "Sì, di ferri mi cingete" da Irene di Hasse è ugualmente foriero di pregevoli effetti musicali.

A parte l’assenza di carisma della compagine e talune lacune interpretative del cantante, è la scarsissima affluenza di pubblico a colpire negativamente: appare incomprensibile il disinteresse con cui certi eventi, inconsueti e particolari (non capita sovente di trovare concerti interamente dedicati alla vocalità controtenorile) scivolano nella programmazione artistica di una città come Venezia. Ci si augura sia solo una coincidenza o scarsa informazione.