Chiamasi finzione artistica

 di Carla Monni

 

Dopo la brillante stagione 2013/2014 torna in scena a Bologna, questa volta al Teatro Europauditorium, Un servo per due, commedia tratta dal Servitore di due padroni di Carlo Goldoni, con la regia di Pierfrancesco Favino e Paolo Sassarelli, in collaborazione con la Compagnia Gli Ipocriti e l'Associazione REP la Compagnia di Repertorio. Protagonisti gli attori del gruppo Danny Rose, accompagnati dalle musiche arrangiate dal quartetto Musica da Ripostiglio.

BOLOGNA, 7 febbraio 2015 – In seguito al conferimento del Premio 'Le Maschere del Teatro Italiano' edizione 2014 a Pierfrancesco Favino come miglior attore protagonista – premio che tra l'altro ha visto aggiudicarsi la finale al gruppo Musica da Ripostiglio nella categoria miglior autore di musiche – ma soprattutto grazie al gran consenso da parte di pubblico e critica, non c'era da stupirsi che la commedia Un servo per due sia stata nuovamente inserita nel cartellone della stagione teatrale italiana 2014/2015. Lo spettacolo, realizzato con la partecipazione della Fondazione Teatro della Pergola di Firenze, è nato nel 2013 grazie all'incontro dell'attore Pierfrancesco Favino con il direttore artistico Marco Balsamo, uniti dall'intento di rivisitare un'opera classica in chiave moderna. La scelta cadde su One Man, Two Guvnors del drammaturgo inglese Richard Bean, tratto da Il servitore di due padroni di Carlo Goldoni, messa in scena per la prima volta nel 2011 al National Theatre di Londra, dove ha riscosso un enorme successo e da cui ha avuto inizio il tour in tutto il mondo durato ben tre anni. Il comico testo inglese è stato di conseguenza tradotto e adattato al variegato universo italiano da Pierfrancesco Favino, Paolo Sassanelli, Marit Nissen e Simonetta Solder. Gli autori non si sono limitati al semplice adattamento del testo inglese, ma anzi hanno operato una vera e propria italianizzazione, e non solo testuale. Le scene, i costumi, le situazioni, le musiche, il linguaggio adoperato dai personaggi e caratterizzato da sfumature dialettali – si pensi all'accento caricaturale di Livio, il bizzarro personaggio interpretato dal versatile Claudio Castrogiovanni – incarnano assai bene infatti la tradizione, i comportamenti e le abitudini, appartenenti al microcosmo italiano. Non è un caso che il protagonista Pippo – sempre alla ricerca disperata di qualsiasi cosa da mettere sotto i denti – desideri di poter mangiare polenta taragna e coniglio al brasato, decisamente piatti tipici italiani.

Al contrario della settecentesca commedia goldoniana, ambientata a Venezia, Bean inserisce la sua rivisitazione a Brighton negli anni '60. Con Un servo per due l'opera di Goldoni rimpatria nella riviera adriatica, ma questa volta nella città di Rimini, nell'anno 1936. Le scene esterne infatti, costruite dai Fratelli Giustiniani, sono tipicamente “marinare” e ricche dunque di elementi caratteristici, come le palme, gli stabilimenti balneari o la nave che ormeggia al porto contornata da un gioco di luci. Al centro della vicenda troviamo lo squattrinato Pippo – Truffaldino nella commedia veneziana – servo di due padroni, interpretato da un sorprendente Pierfrancesco Favino. A distanza di ben 270 anni dall'opera goldoniana, non stonano di certo le parole dedicate dal commediografo, nelle sue Memorie italiane, all'allora attore Antonio Sacchi, poiché anche l'attore romano al pari dell'interprete di Truffaldino ha dimostrato di unire “[...] alle grazie del suo personaggio tutto il talento necessario ad un bravo comico, e dice le cose le più brillanti e spiritose del Mondo”. Favino riesce a portare in scena un moderno Zanni, il tipo più caratteristico della Commedia dell'Arte, rallegrando il pubblico con ogni genere di arguzie e di battute sottili. L'attore ha studiato nei minimi dettagli il personaggio del servo ingenuo, come carpiamo dalla sua abilità verbale e corporea, nonché dall'umorismo tipicamente “popolare”. Come nella Commedia dell'arte, in Un servo per due non manca inoltre l'elemento improvvisativo. È vero, l'allievo di Ronconi entra nella parte e vi si attiene rigorosamente, ma spesso e volentieri gioca e dialoga con il pubblico, come se questo fosse interprete nella commedia, e unico confidente e testimone di tutti gli equivoci di cui Pippo stesso è responsabile.

Favino trasporta l'”Arlecchino bergamasco” nella modernità riminese degli anni '30, nel pieno dell'ideologia fascista. Dal punto di vista scenografico non sono presenti elementi che ricordano l'architettura fascista razionalista prima, e monumentalistica dopo. Non ci sono dunque geometrizzazioni che vogliono alludere al “ritorno all'ordine”, né edifici di proporzioni gigantesche. L'unico elemento che ricorda piuttosto l'astrattismo geometrico, tipico della pittura del primo '900, priva di figure riconoscibili, sono le forme e le linee disegnate nei paraventi degli interni della casa di Bartolo – il Pantalone de' Bisognosi goldoniano – simbolo di buone qualità, interpretato dall'attore Bruno Armando, il cui temperamento equilibrato e sicuro di sé ben si adatta alla rappresentazione del padre di famiglia e faccendiere.

Non potevano mancare anche i fatidici Intermezzi, caratteristici della Commedia dell'Arte e parti essenziali della vicenda, riempiti dagli standard swing, in voga in Italia negli anni '30 e poi divenuti nel tempo degli evergreen. I brani sono tutti arrangiati ed eseguiti dal vivo dal quartetto Musica da Ripostiglio, in chiave “gypsy manouche”, stile in cui emergono sonorità variegate e ritmi cadenzati, ma soprattutto in cui i musicisti possono sfoggiare tutta l'espressività dei loro strumenti: la chitarra di Luca Giacomelli, la chitarra, la voce e soprattutto il banjo di Luca Pirozzi, il contrabbasso di Raffaele Toninelli e la batteria di Emanuele Pellegrini. L'Orchestrina da Ripostiglio – per citare uno dei brani originali della band – è parte essenziale dello spettacolo, improvvisa in scena e fuori scena, e sfoggia tormentoni come Baciami Piccina, Ma le gambe, Ho un sassolino nella scarpa, il Pinguino innamorato, Pippo non lo sa e Maramao perché sei morto, la maggior parte cantati all'epoca dal Trio Lescano. E sulla scia della tecnica del canto armonizzato dello storico Trio, viene interpretato Tulilem Blem Blum intonato da Valentina Valsania (Zaira), Eleonora Russo (Clarice) e Chiara Tomarelli (Rocco/Rachele) del Gruppo Denny Rose. Tutti gli elementi della Commedia dell'Arte si mescolano inoltre con il cabaret e l'avanspettacolo degli anni '30: gli attori infatti fanno da ballerini, cantanti e acrobati; a tal proposito è da notare la maestria funambolica di Paolo Sassanelli che interpreta il personaggio di Alfredo, un anziano cameriere che per sbaglio viene più volte catapultato giù per le scale. Il tutto viene confezionato in uno spettacolo impeccabile, in cui nell'aria non si respira per nulla la farsa, ma solo comicità e professionalità.

Tutto il cast e gli addetti ai lavori si meritano un bell'inchino, d'altronde non possiamo non essere d'accordo con le parole recitate dal Truffaldino goldoniano, nella II scena della commedia veneziana, “Fazz umilissima reverenza a tutti lor siori. Oh che bella compagnia!”