Molière - La recita di Versailles

È tutta la vita che abito un altro

 di Isabella Ferrara

Al teatro Stabile Bellini, Paolo Rossi e Giampiero Solari rileggono Molière su canovaccio di Stefano Massini e con canzoni originali di Gianmaria Testa.

NAPOLI, 11 gennaio 2017 - Il palcoscenico è aperto, si vedono degli strumenti in scena, entrano dei musicisti, passa una maschera che avverte il pubblico in sala, distratto e immerso ancora in chiacchiere e saluti, dell’imminente inizio dello spettacolo. Sembra tutto un “lavori in corso” a cui noi stessi spettatori partecipiamo involontariamente ed inconsapevolmente.

Ecco che i musicisti, i Virtuosi del Carso, iniziano a suonare e una bellissima voce femminile canta in un’atmosfera da spettacoli di strada, di saltimbanchi: sono i guitti, i commedianti quasi circensi, artisti girovaghi in cerca di vita da interpretare e da cantare sempre altrove, lontano da dove già sono “perché la vita è più di così”.

Il prologo dello spettacolo spetta a Paolo Rossi autore e attore, personaggio e direttore dell’intera orchestra recitativa. Sembra un Einstein scapigliato con mille idee da mettere in opera, sembra il personaggio che andrà ad interpretare, sembra sé stesso, il comico istrionico che sul palco si diverte a divertire.

Rossi/ Molière, o, meglio, Paolino Molierino presenta l’arte dell’improvvisazione, tenta di spiegare la distinzione indistinguibile tra attore, personaggio e persona, tra il recitare, l’improvvisare e il vivere reale.

Sembra di intravedere le motivazioni al teatro dei Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello, sembra di confondersi insieme a Paolino che danza fra le parole che vorrebbero spiegare, ma che in realtà lasciano dubbi e incertezze su quello a cui stiamo per assistere.

L’improvvisazione di Versailles è una commedia scritta da Molière nel 1663 per accontentare Re Luigi XIV che la pretese la mattina per goderne la sera stessa a Corte; il drammaturgo decise allora di inscenare se stesso alle prese con le prove di recitazione con la sua compagnia, e con i suoi tentativi di innovare lo stile recitativo dell’epoca per essere al passo dei tempi che rapidamente cambiano con i gusti e le esigenze del pubblico. Nulla di più vero anche oggi, nel teatro contemporaneo in cui è continua la ricerca del nuovo, dell’originale, di una cifra stilistica rinnovata, al passo appunto con questi tempi in cui tutti recitiamo, in politica, sui social, in televisione. O forse improvvisiamo.

Sul palcoscenico ecco quindi attori di oggi che fingono di recitare i personaggi di una compagnia di Molière, che a loro volta si preparano a rappresentare una recita in tre atti per il Re Sole; ma anche persone vere che interpretano lo spettacolo con Paolo Rossi e che hanno una propria vita che vien fuori apparentemente in modo incontrollato. E allora lo spettatore, in silenzio dentro di sé, si interroga su ciò che sta vedendo. Sarà vero che il microfono non funziona? Sarà vero che un’attrice, la persona che sta dietro gli abiti di scena, ha mal di schiena per una frattura recente? Ed ecco che l’obiettivo dello spettacolo è egregiamente raggiunto.

Il bicchiere di cristallo, l’attore, incastonato di diamanti, il personaggio, colmo di vino, la persona, che cade a terra e si rompe lascia che le tre entità si confondano in modo da non poterle più distinguere fra di loro.

Rossi canta “è tutta la vita che abito un altro”, il dramma della maschera, la tragicomica essenza dell’attore.

C’è tutto questa sera sul palco. Cultura e rimandi intellettuali continui, battute e risate, errori veri o recitati, il teatro classico delle maschere, le maschere sui volti degli attori che li trasfigurano rendendoli irriconoscibili, la modernità dell’avanguardia confusa e disordinata, eppure logica e consequenziale, la satira politica accennata ma dettagliata, l’ironia sul presente sociale che viviamo tra selfie e incontri sempre meno personali, anche se più invadenti, dove “i mediocri si svegliano sempre due ore prima di coloro che hanno talento per studiare come fregarli”, dove si fanno corsi di paracadutismo online, e quando ci si imbatte nella realtà non basta più essersi svegliati due ore prima.

Uno studiatissimo, e improvvisato, ponte spaziale e temporale fra i tempi, a spasso nella cultura, nella storia del teatro e del mondo, condotti da attori bravissimi, professionisti infaticabili, come una Lucia Vasini in splendida forma drammatica e comica, che sanno dimostrare come si può recitare alla vecchia maniera e, contemporaneamente, fare teatro d’avanguardia, o fingere di farlo. Scoppiettanti e coinvolgenti, divertenti e colti, cosa ci si può aspettare di più da una serata al teatro? Di dormire, forse, come ha raccontato Paolino Molierino di una serata da lui vissuta come spettatore , o forse era solo una barzelletta?

Lo spettacolo si chiude con la musica, che pure ha accompagnato tutta la recita, con un’ altra canzone di Gianmaria Testa, La giostra; quella della vita su cui tocca ai giovani giocare e girare più di tutti e più a lungo possibile, improvvisando anche.

I saltimbanchi si congedano saltando e ballando sul palco al suono di un can-can discotecaro che ci riporta tutti, noi e loro, sulla strada.