L’Ape musicale

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A Broadway, con Haendel e Tarantino

di Gina Guandalini

Fra una pièce dedicata al rapporto fra Farinelli e Filippo V di Spagna, che pare pensata sulla scia del noto e discutibile film di Corbiau, e la rilettura americana contemporanea di La parisienne, protagonista Uma Thurman, ferve come sempre la vita teatrale di Broadway.

NEW YORK, febbraio 2018 - Nella perfetta geometria delle strade di Manhattan, che impedisce di smarrirsi alla persona più sprovvista di senso dell’orientamento, Broadway è un corpo estraneo: procede in diagonale. Percorri la Settima Avenue e all’improvviso, guardando dove vai, ti accorgi di essere a Broadway. Ma quando ci sei arrivato? Quando si è intersecata? Ed è già ora di svoltare sulla 44esima.


Farinelli an the King

È lì che lo storico Belasco Theatre presenta da novembre scorso Farinelli and the King, testo di successo scritto da una signora di nome Claire van Kampen: si incentra sulla nota vicenda del Re di Spagna malato di grave depressione e del suo incontro programmato con il più grande cantante dell’epoca, il castrato italiano Farinelli. L’associazione dell’illustre spettatore esclusivo con l’evirato cantore più celebre della storia è combinata dalla Regina di Spagna Isabella (Farnese) e, almeno per qualche tempo, solleva l’infelice monarca dal disagio mentale. Soggetto sempre interessante; a Londra, in due riprese del 2015, Farinelli and the King ha funzionato al botteghino grazie alla bellissima messa in scena a lume di candela firmata dallo scenografo Paul Russell e all’interpretazione del re di Spagna da parte di un mito del teatro inglese di oggi, l’attore Mark Rylance. Che vanta una lunga e gloriosa carriera in scena ed è marito dell’autrice della pièce. Di recente ha ottenuto l’Oscar come migliore attore non protagonista in Il ponte delle spie, prodotto da Spielberg, e lo si è visto nel film Dunkirk; ma era già nel cinema dai tempi di Prospero’s Books nel 1991. Qui regge la scena con una presenza coinvolta ed elegante nei panni del disturbato re spagnolo. Non si chiama Felipe alla spagnola o Filippo all’italiana, ma Philippe, forse perché si vuole sottolineare la sua discendenza dal Re Sole.

Della produzione londinese il Belasco Theatre conserva giustamente la elegante raffigurazione barocca apportata da scene e costumi e la presenza di membri del pubblico installati sul palcoscenico, come nelle rappresentazioni teatrali e musicali del Sei e Settecento. Purtroppo, nell’affrontare il “fenomeno Farinelli”, l’autrice della commedia incorre nei due errori storici che già – e più pesantemente - condizionarono il brutto film di Corbiau Farinelli voce regina del 1993. La convinzione che nell’esistenza di Carlo Broschi detto Farinelli il problema fondamentale, la raison d’être fosse il raggiungimento di una vita sessuale e sentimentale intensa; e che i controtenori e i falsettisti odierni rendano perfettamente quelli che furono l’emozione e lo stupore uscitati dalle voci dei castrati. A impersonare Farinelli è l’attore Sam Crane, accanto al quale entra in scena il falsettista Iestyn Davies ogni volta che si tratta di cantare. E intona una serie di arie haendeliane, da “Ho perso il caro ben” da Il Parnasso in festa a “Bel contento” dal Flavio, a “Lascia ch’io pianga” dal Rinaldo (Farinelli aveva in repertorio anche altri autori, in realtà). Un ensemble di strumenti d’epoca, tra cui una tiorba, suonati in diretta lo accompagna dall’alto. Ma la voce di Davies, per quanto abbastanza ampia, ha problemi di intonazione di partenza; ed è ingolata, chioccia, inerte, come quelle di molti altri controtenori, oltre che tutt’altro che fulminea nella coloratura.

Ha avanzato qualche riserva in questo senso solo l’autrice della recensione del periodico americano Variety, Marilyn Stasio, partendo dalla legittima congettura che il canto di Farinelli fosse angelico, celestiale e perciò dotato per certi versi di poteri curativi e perfino taumaturgici.A scoltare Davies è insufficiente a curare un paziente dalla depressione; forse può solo aggravarla. Chiedere all’autrice del testo e al regista di sostituirlo con brani della Ferrier, della Horne, della Sutherland, della Caballè, sarebbe chiedere troppo alla loro inesistente cultura musicale: Farinelli era un uomo. Castrato, certo; e così la commedia si inventa anche una sua incurabile insoddisfazione per il suo stato sessual-sociale di freak, profonda quanto la depressione del re; comprendiamo che si tratta in fondo di un incontro tra due maniaco-depressivi. E crea una love story con la regina Isabella… Si aggiunga un linguaggio contemporaneo crudo, in stridente contrasto con i colori, le luci e l’atmosfera, che qui non sono indegne del Barry Lyndon di Kubrick.

È sempre un’impresa difficile, insomma, calarsi in sensibilità altre, o di un passato lontano, e il testo della van Kampen non riesce a compiere l’impresa. Di tutto lo spettacolo conserveremo la commovente bravura con cui un discinto, confuso e avvilito monarca ascolta per la prima volta la voce del divino cantore; l’attenzione, la commozione di Rylance sono i momento più bello della serata.

Photos by Marc Brenner and Simon Annand


 Parisian Woman

Pochi metri più a est ma sempre sulla 44esima, c’è un altro teatro liberty di grande tradizione, il Hudson. Presenta, anch’esso con successo, l’attrice Uma Thurman, stella preferita di Quentin Tarantino, che debutta a Broadway nel testo La Parisienne. Non si tratta della pièce di Henri Becque del 1885, anche se vi si ispira; è una riscrittura moderna totale, ambientata a Washington, a opera di Beau Willimon, creatore di House of Cards, autore attivo politicamente nella resistenza a Trump.

A suo tempo La Parisienne fece sensazione già dai primi cinque minuti dell’esordio: in un salotto un uomo fa una scena di gelosia a quella che dal punto di vista della logica sembra sua moglie, e si scopre che è invece è la sua amante, troppo piena di segreti epistolari e troppo attaccata al marito. Non è la sola disinvolta trasgressione dell’emancipatissima Clothilde - che qui è ribattezzata Chloé: vedremo che si batte con tutte le armi di una donna bella e spregiudicata per iniziare e favorire e proteggere le carriere di diversi uomini politici, tutti legati a lei nel passato, nel presente e nel futuro. Il testo originale del 1885 potrebbe ancora essere servito in tavola, magari rendendo la salsa più piccante al pubblico americano di oggi, ma conservando l’impianto francese di base. Ma evidentemente i tempi sono cambiati, e il clima civile e politico degli Stati Uniti di oggi impone questa modernizzazione. La bionda ed elegante Thurman è cinica, frivola, indomita. Di parigino ha solo il tatuaggio di una baguette sul fianco; Willimon ne fa un’ambiziosa signora washingtoniana tutta ironia e battute taglienti. Questa prova teatrale dell’abile Uma è preceduta dalla sua recente incarnazione della dura e ambiziosa Madame Forestier nel film Bel Ami.

Il regista PeterMcKinnon ha fatto bene ad insistere per ottenerla come protagonista di questo rifacimento. Tutti gli altri attori sono di fama “locale” ma fanno pure squadra intorno a lei; e il pubblico, folto e divertito, ha tributato allo spettacolo un’ovazione.


 

 

 
 
 

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