Tre sorelle

 di Giuliana Dal Piaz

Interessante, per quanto non del tutto riuscita, l'idea di dedicare una pièce alla vita delle sorelle Bronte, sfortunate colonne portanti della narrativa anglosassone.

Stratford, 10 luglio  - Composta su commissione dello Stratford Festival e da esso prodotta per questa stagione, l’opera di Jorgi Mand si propone di narrare, a un pubblico che la conosce ben poco, la storia della “nascita” ed evoluzione letteraria delle sorelle Charlotte, Emily ed Anne Brontë, una storia racchiusa nello spazio di tre anni, dal gennaio 1846 al gennaio 1849, tra le quattro pareti del salottino della loro modesta casa parrocchiale.

Nate in una famiglia segnata dalla disgrazia, le tre sorelle morirono giovani, di tubercolosi, come giovani erano morti la loro madre (forse di cancro all’utero), le prime due sorelle ancora bambine, e l’unico fratello maschio, anch’essi di tisi; si spense precocemente anche la zia Elizabeth, trasferitasi da loro dopo la scomparsa della sorella, per far da madre a quattro nipoti piccoli (Charlotte, la maggiore, aveva otto anni) affidati alle cure di un padre certo inesperto e inadeguato. Questi, pastore anglicano di una piccola chiesa dello Yorkshire, lottò per tutta la vita con la penuria economica e sopravvisse a tutti gli altri membri della famiglia, raggiungendo gli 84 anni di età nella desolata solitudine della sua parrocchia.

È molto interessante che si diano a conoscere le circostanze di vita delle tre scrittrici, importanti nella narrativa romantica inglese, soprattutto Charlotte col suo Jane Eyre, dalla grande fortuna posteriore, ed Emily con Cime tempestose, misto di ingenuità, passione e invenzione letteraria unico nella storia della letteratura inglese dell’800, ma anche la giovane Anne con i suoi due romanzi, Anne Grey e The Tenant of Wildfell Hall. Scrivendo in ogni momento libero della giornata – dopo aver sperimentato e poi abbandonato, tutte e tre alternativamente, l’impiego come istitutrici presso famiglie ricche, dove erano trattate come parte della servitù – condussero una vita definita dai biografi “priva di eventi” ma tristemente marcata dalla povertà, dalla perdita e dalla lotta per il riconoscimento, in un’epoca tutt’altro che favorevole alla narrativa femminile.

Il copione sembra concentrarsi parecchio sulla litigiosa rivalità letteraria tra sorelle e la lagnosa ribellione quotidiana di Anne, la più giovane, mentre è noto il loro forte, reciproco attaccamento. Esiste tuttavia un ritratto, dipinto dal fratello Patrick Brontë nel 1834, in cui vediamo tre ragazze abbastanza carine ma dall’espressione tutt’altro che felice ed Anne appare decisamente battagliera, perfino aggressiva. È probabile quindi che la loro quotidianeità fosse di fatto litigiosa e perfino meschina... Ma a proposito del ritratto, c’è di più. Sembra trattarsi in realtà di un autoritratto, in cui l’autore si nasconde dietro la “colonna” situata tra le sorelle: Patrick sperava di diventare un pittore famoso ma, vittima di un amore infelice, si rifugiò nella casa paterna e nell’alcol, abbandonando la pittura e tentando il suicidio, prima di morire di bronchite cronica e tubercolosi a trentun anni.

La regia imprime alla pièce un ritmo di continuo, quasi turbinoso, andirivieni nel soggiorno attorno al quale gira la quotidianeità della famiglia. Lo Studio Theatre è piccolo e il suo spazio è fortemente vincolante – ha tuttavia egregiamente ospitato una straordinaria e vivace Commedia degli Equivoci... – ma la scenografia rende in modo efficace l’ambiente claustrofobico e limitato in cui viveva la famiglia Brontë. Il testo è piuttosto lungo (dura più di due ore), intento a definire le diversità di temperamento tra le sorelle, ma manca a tratti dell’incisività e della forza necessarie ad agganciare in profondità l’attenzione del pubblico. Infelice anche la musica che lo accompagna, troppo forte e sostanzialmente inadatta a creare un’atmosfera, soprattutto negli intervalli tra le scene. Bello invece il titolo, che riprende i versi di una poesia di Emily: “... So hopeless is the world without, / the world within I doubly prize...” (È così privo di speranza il mondo esterno / che quello interno mi è doppiamente prezioso). Sarebbe stato gradito – come ho sentito dire da alcuni nel pubblico – che, nel mostrarsi l’un l’altra le poesie e i brani che andavano scrivendo, le “sorelle” ne avessero accennato una breve lettura.

Le attrici sono brave ma non straordinarie, almeno in questa produzione, in cui soprattutto Andrea Rankin (Anne) appare costantemente sopra le righe.

Foto di scena di Hilary Gauld Camilleri

BRONTE: THE WORLD WITHOUT, di Jordi Mand. Stratford Festival 2018. Studio Theatre, Stratford, dal 12 luglio al 13 ottobre 2018.

Produzione dello Stratford Festival. Regia: Vanessa Porteous. Scenografia e costumi: Narda McCarroll. Luci: Kimberly Purtell. Direzione suono: Anton de Groot. Drammaturgia: Bob White. Direzione movimenti scenici: John Stead.

Personaggi e interpreti:

Charlotte Brontë – Beryl Bain

Emily Brontë – Jessica B. Hill

Anne Brontë – Andrea Rankin