L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il mistero del teatro, il teatro del sentimento

 di Isabella Ferrara

Lo spettacolo interpretato e diretto da Toni Servillo con Petra Valentini, Francesco Marino, Davide Cirri scava nell'essenza del teatro e spinge, con i suoi diversi livelli drammaturgici, a riflettere.

NAPOLI, 9 gennaio 2019 - Elvira (Elvire Jouvet 40) di Brigitte Jaques, nella traduzione di Giuseppe Montesano, mette in scena le sette lezioni nelle quali Louis Jouvet, regista e attore teatrale e cinematografico francese, affronta con un’allieva del terzo anno del Conservatoire National d’Art Dramatique una scena del Don Giovanni di Molière, quella in cui Donna Elvira, nel IV atto, irrompe in casa del suo amante seduttore con l’unico desiderio di spingerlo, in nome dell’amore che per lui così intensamente provò, a redimersi dalla sua condotta peccaminosa per salvarsi dalla punizione celeste. Sullo sfondo la Parigi del 1940, che verrà invasa dai nazisti nel giugno dello stesso anno.

Il palcoscenico che si presenta allo spettatore è quello delle prove di uno spettacolo: un maestro e tre allievi provano le scene, i dialoghi, si confrontano, imparano gli uni dagli altri. Il testo viene riletto e sviscerato in tutte le sue parti, alla ricerca dell’anima, del sentimento.

Molière scrisse meravigliosamente il suo Don Giovanni; Jouvet magistralmente vi imperniò le sette lezioni che sembrano mettere a nudo teatro e attori; Servillo con la sua ben nota maestria e bravura regala un’interpretazione che va oltre la recitazione, che appare naturale e vera, quanto più è elaborata e studiata nei minimi dettagli.

È un testo complesso in cui convivono palpitanti la Donna Elvira, strappata al convento e poi abbandonata da un Don Giovanni traditore e scellerato, e Claudia, l’allieva promettente e orgogliosa guidata dal suo maestro alla comprensione di quella donna; e poi c'è l’attrice Petra Valentini cui spetta il difficile compito di riunire in un unicum la donna, l’allieva, l’attrice. Un bagaglio emotivo di enorme portata che trova lo spettatore impreparato, che lo lascia stupito e interdetto. È contemporaneamente rapito dalla bravura degli attori, e dalla difficoltà di seguirlo passo dopo passo. Può solo lasciarsene invadere come da un’onda.

Tornando a casa dopo lo spettacolo ieri sera non avevo l’urgenza di un sentimento che mi spingeva e mi seguiva. Eppure “sentimento” era stata la parola che forse avevo sentito più spesso nel corso della recita. Sono dunque l’allieva che non riesce a capire cosa vuole dirle il suo maestro. Sono colei che ha affrontato solo con il pensiero lo spettacolo; con la logica ho cercato di capire il significato del fiume di parole che dal maestro sgorgavano con immediatezza. Cercavo di concentrarmi, di seguire il discorso, di ragionarci, proprio quando ciò che veniva detto era spontaneo, frutto di un pensiero impellente che viene espresso quasi senza pensarci, perché è talmente urgente all’animo da venir fuori con veemenza, la stessa che a volte fa anche esitare. E tutto questo era già sentimento e diceva chiaramente di esserlo.

Se ieri sera da spettatore volevo capire la lezione di teatro, interiorizzarla, e uscire conscia di un insegnamento, allora avevo un’idea e un approccio sbagliato. Chi può risolvere davvero il mistero che unisce e separa l’uomo dal personaggio che interpreta, l’uomo dall’attore?

Jouvet si domandava: “Come fare il teatro senza pensarlo? Come non interrogarsi sul mestiere dell’attore.” Concludendo: “Il teatro mi appare ancora in tutti i suoi aspetti soltanto come un mistero”.

Ciò che davvero era alla portata di tutti è la lezione di vita che scaturisce dalle parole e più ancora dalle situazioni. Il sentimento deve guidarci nelle relazioni con l’altro, nelle azioni, nelle scelte. Il sentimento che fa tremare, che imbarazza, che è scomodo perché è vero. Amore, paura umiltà, compassione. Ma per riuscire a scoprirlo e a seguirlo è necessario fare fatica, lavorarci con impegno e costanza. Nella prima lezione sentiamo dirci: “Vi dico una cosa essenziale: ogni volta che avete la sensazione che una cosa vi viene facile, ottenuta senza sforzo, questo non è bene. L’esecuzione comporta sempre qualcosa di difficile, di doloroso… Altrimenti manca qualcosa…”

Non si sa più se a dirlo è Jouvet, o Servillo, è troppo convincente, carico di passione, ed è evidente, talmente chiaro agli occhi di chi guarda che sia davvero così. Il talento non basta, servono studio, lavoro, impegno, sacrificio, costanza e volontà, serve “passare alla ribalta”, riuscire a penetrare l’animo del destinatario della nostra arte. Bisogna imparare l’umiltà dell’ascolto, l’accettazione delle critiche, la volontà di correggersi per migliorarsi in un lavoro continuo e quasi sfiancante, come quello di Elvira/Claudia/Petra, di Molière/Jouvet/Servillo che, senza timore di svuotarsi, danno tutto di sé, allo scopo di raggiungere l’anima, il sentimento. Una lezione di vita a inseguire un sogno, come quello di un monologo recitato perché vissuto con il sentimento e nel sentimento. Insistenza e caparbietà, impegno e sacrificio mentre fuori il mondo si prepara all’inferno in terra. L’inferno di Donna Elvira, quello della sua sofferenza, e quello della punizione divina da cui cerca di allontanare il suo tanto amato traditore, l’inferno di Claudia, l’ebrea a cui saranno inibiti i palcoscenici dal Nazismo. Un sentimento comune che pure poteva sembrare così lontano e diverso.

Una lezione di vita, infine, che oggi aiuterebbe i ragazzi che si accontentano di ciò che è solo abbastanza, perché gli adulti che siamo diventati vivono di mediocrità. Quasi intima nelle luci, nelle atmosfere, nelle parole ripetute e sussurrate, inseguite e ricercate; un modo di dimostrare come si fa quando una passione e un talento diventano solo l’inizio e non il traguardo, quando il sentimento diventa una semplice parola difficilissima da spiegare.


 

 

 
 
 

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