L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Anima scorticata

 di Isabella Ferrara

Colpisce nel segno, fra malinconia, eros e divertimento, lo spettacolo di Emma Dante tratto dal racconto di Giambattista Basile.

“… Mo preganno lo Sole che facesse quarche scortatora pe li campe celseste .. avanzanno cammino .. ; mo sconclurava la Notte, che sparafonnanno le tenebre, potesse vedere la luce…; mo se la pigliava co lo Tiempo che per farele dispietto s’aveva puosto le stanfelle e le scarpe de chiummo…” estratto da La scortecata, decimo racconto della prima giornata di Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile.

Con il Tempo dell’attesa inizia lo spettacolo. Due uomini seduti su piccole sedie di legno pieghevoli; un castello in miniatura come un sogno in lontananza, un miraggio nel deserto di un palcoscenico scarno ma di grande effetto; un baule sullo sfondo che nasconde e conserva forse qualche abito del passato; una porta adagiata sul proscenio che divide il mondo interno e interiore da un mondo esterno ed estraneo, temuto ed agognato. Ed ecco che emergono, spogliandosi dei semplici abiti maschili, le due anziane sorelle Rusinella e Carolina, raccontate dal Basile, ricreate da Emma Dante. Rusinella, quasi che nel vezzeggiativo fosse implicita la maggiore giovinezza delle due, 90 anni rispetto ai 102 della maggiore, recita un poetico rimprovero al Tempo che non passa abbastanza velocemente quando viviamo l’attesa di un evento che promette gioia, quando gli occhi trasognati vagano nell’aria in cerca di un miraggio, per renderlo reale.

Le due sorelle sognano l’amore, la giovinezza, sognano la vita. Si raccontano la favola di un re che si innamora della voce di una delle due sentendola cantare, e che si lascia da loro ingannare nell’intento di possederla per poi sposarla. Il re crederà di ottenere il piacere da un giovane e bel corpo, e invece scoprirà di aver soddisfatto quello di una vecchia decrepita e consunta. La getterà dalla finestra, ma l’amante ingannatrice, che non muore aggrappandosi ad un ramo, aggrappandosi ancora alla vita, verrà trasformata da una fata in giovane e bella sposa del re.

Si dispiega così la storia e la giornata delle due sorelle, fra il dialetto napoletano del Basile, arcaico e a tratti impronunciabile e incomprensibile, e il dialetto napoletano moderno, entrambi recitati con estrema naturalezza da Salvatore D’onofrio e Carmine Maringola; fra battibecchi fatti di rimproveri, di accuse, di invettive, di sconcezze e colorite espressioni gergali, che pure non appaiono volgari, forse perché ispirate da quello sdegno momentaneo che non può prescindere dal bisogno reciproco, l’una non vuole stare senza l’altra, insieme sopportano gli anni che passano, insieme non restano sole. Alle parole si aggiunge un aspetto perfettamente inguardabile esteticamente, ma senza riuscire a disgustare, perché già si respira la malinconica consapevolezza della vecchiaia, delle occasioni perse, o mai avute.

Attraverso una porta che metaforicamente le divide dall’amato re della favola, con un aspetto trasandato, sgraziato, grossolano, le due sorelle riescono a far sentire la passione, il desiderio, un erotismo trattenuto. Il merito è delle parole del Basile, ma anche dell’atmosfera creata sul palco, della regia e della ricostruzione che ne ha fatto Emma Dante; della bravura quasi indescrivibile dei due attori che danno l’anima sul palco, e alla fine appaiono provati, dai ruoli e dai contenuti. La scena del rapporto sessuale di una delle due sorelle con il re sorprende, è una invenzione scenica inaspettata, accompagnata da una musica allegra ed esaltante (Mambo italiano) come può esserlo chi realizza un sogno, chi finalmente prova il piacere di un desiderio che si fa concreto; è anche una musica adatta per inscenare uno scherzo, un gioco goliardico, una truffa divertente.

Bravissimi. Emozionante. Divertente. Sorprendente. Non si racconta, non si estrapolano singoli momenti. È un unicum, uno scambio continuo, ininterrotto. È un flusso di energia che può aver fine solo con un buio definitivo. Un addio violento, perché sofferto e sofferente. Un quadro di due corpi nel Tempo che pare essersi fermato, ma solo adesso che è tropo tardi. Corpi, pelle, umori, nulla di più umano, mentre si sogna una favola. E al risveglio cullati da una bellissima Reginella, per la voce di Massimo Ranieri, l’orrore della realtà.

Con il Tempo dell’attesa si chiude lo spettacolo. Di nuovo il poetico rimprovero al Tempo che non passa mai, ma stavolta perché viviamo l’attesa della morte, stanchi di aspettare; stavolta in lacrime, con occhi che vagano impauriti, tristi, delusi.

La scortecata della Dante è il risveglio dal sogno, il rifiuto dell’abbonimento di una favola che ci si racconta, è la realtà che non si sopporta più; è l’amore che tiene uniti, che accetta un turpe gesto di liberazione.

Ci scortica l’anima.

“E cammina, cammina vicino ‘o puorto..”, sono di Pino Daniele le ultime sonorità napoletane a spegnere le luci sull’emozione.


 

 

 
 
 

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