Microcosmo al bancone

di Isabella Ferrara

La compagnia Carrozzeria Orfeo, da aprile su Netflix anche con il film Thanks tratto dal loro Thanks for Vaselina e con Luca Zingaretti fra i protagonisti, propone al Teatro Bellini Animali da bar, emozionante spaccato di umanità sintetizzato dalla voce fuori campo di Alessandro Haber

Beatrice Schiros, una Mirka convincente con una espressività talmente adatta al ruolo da sembrare assente, perché naturale. Alessandro Federico, il Milo che non si ferma mai. Massimiliano Setti, un Colpo di Frusta che sorprende. Pier Luigi Pasino, lo Sciacallo meno cattivo mai visto. Federico Vanni, lo Swarovski grezzo, che sa brillare. Alessandro Haber, la voce fuori campo, il nonno, il proprietario del bar, la sintesi di tutte le voci, quelle di dentro e quelle di fuori. Ecco gli Animali da bar della compagnia Carrozzeria Orfeo, per la regia di Alessandro Tedeschi, Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti

La voce fuori campo di Alessandro Haber cattura subito l’attenzione del pubblico in sala, accogliendolo e apostrofandolo in modi inconsueti, ma di effetto. È una voce autorevole, difficile metterla a tacere, difficile non ascoltarla. Lascia il segno. Il sipario si apre e siamo in un bar, di fronte ad un bancone. Non è possibile confonderlo con il bar dei Nottambuli di Hopper perché appare subito più vivace e vitale, sebbene tristezza e solitudine anche sul palco siano le arachidi che accompagnano le birre servite. Potrebbe ricordarci Il bar sotto il mare di Stefano Benni, ma in scena le storie raccontate sono più reali nella loro crudezza, sono storie che ci sembra di toccare con mano, perché le incontriamo ogni giorno e perché ci somigliano.

È un bar dove ci si conosce andandoci e tornandoci, per restare seduti al solito tavolino, o abbandonarsi sul bancone; con l’aspetto di chi è solo di passaggio, ma poi ritorna; per sfuggire al freddo di una casa vuota che non ci accoglie, per nascondersi nelle curve alcoliche di una vodka, o per confidare i segreti più intimi, quelli che sono sotto gli occhi di tutti, affidandoli alla memoria della schiuma di un bicchiere di birra.

Dal semplice e ripetuto incontro di sconosciuti emerge il meglio e il peggio dell’umanità. Linguaggio licenzioso, usato bruscamente per scuotere e abbozzare dei consigli, o semplicemente come difesa personale. Le parole come armi, in guerra per sopravvivenza, o per amore. Eppure si parla di odio, di qualsiasi genere; ci si perde nell’odio della storia di ieri che è ancora quella di oggi. Si svendono luoghi comuni con ironia quasi perversa, così radicati nell’essere umano da far ridere per l’incredulità. Il pubblico ride e si diverte di un umorismo a più livelli; quello della battuta immediata, quello amaro di una verità triste, quello studiato per far riflettere. Ridere forse è il modo migliore per capire di cosa siamo capaci.

E si parla anche di amore, il più improbabile, quello lanciato come scialuppa di salvataggio mentre stiamo naufragando; di speranze e di sogni. Progetti falliti e nascituri; di sconfitte, di coraggio e di paura.

Con la compagnia Carrozzeria Orfeo non sappiamo se il nostro bagaglio da viaggio sono i sogni, o la realtà che abbiamo vissuto; il futuro che vorremmo o il passato che ci ha portati fin dove siamo. Per questo rischiamo con loro di perderci in questo presente sullo spesso fondo di un bicchiere.

Sono cinque i personaggi che recitano in scena, più una voce, e sono tanto ricchi e sfaccettati da non lasciare molto spazio ad altri eventuali, racchiudono una gran varietà umana, personalità e vite costruite con cura e grazia, recitate e raccontate con bravura e sicurezza. Ma perché non provare ad immaginarci seduti ad un bar, con qualcuno accanto, a raccontarci ad una barista che ci guarda distante attraverso le luci. Chi siamo, chi saremmo, chi avremmo intorno, e cosa ci diremmo? Lo spettacolo è un pezzo di realtà strappato da una strada, o da vicoli stretti che si incrociano e conducono fino al bancone di un bar; è anche il sovrapporsi delle pagine di un libro scritto dalla mano di un misantropo, o forse da quella di un altruista uomo di cultura.

Gli attori ci presentano dei protagonisti che in un modo o nell’altro ci conquistano; si fanno odiare e amare. Qualcuno cercherà il suo preferito, quello che sembra più buono, o più simpatico, o che gli somiglia di più. E poi sarà come in una canzone dei Beatles, A day in the life: “Ho letto sui giornali di oggi di un uomo fortunato che è arrivato a destinazione e sebbene la notizia fosse piuttosto triste mi è proprio venuto da ridere”.

Isabella Ferrara