L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Una ritrovata cerimonia rituale

di Michele Olivieri

L’evoluzione della storia della danza condensata in una serata dove la creatività artistica di grandi Maestri ha saputo restituire un senso di rinascita simbolica, trasformando la riapertura del Teatro alla Scala in un omaggio sentito e commosso, dall’atmosfera intima e per certi versi solitaria, nella piena consapevolezza di un momento epocale.

MILANO - Come in un libro, l’omaggio in danza per la riapertura della stagione di Balletto in Scala dopo l’emergenza sanitaria ha sfogliato alcune tra le più belle pagine tersicoree, permettendo al pubblico di riflettersi alla scoperta di sopite ed oggi ritrovate emozioni che l’arte regala nel tempo. Il direttore del Corpo di Ballo Frédéric Olivieri unitamente alle maestranze scaligere ha voluto celebrare la ripresa delle attività con grandi nomi del panorama internazionale e immortali firme della coreografia classica, senza tralasciare quella contemporanea per meglio acclamare uno dei teatri più belli al mondo in tutto il suo rinnovato splendore storico e creativo, malgrado le disposizioni ministeriali che in qualche modo hanno ristretto giustamente il cerchio del convivium a tutela della sicurezza.

La poesia frammentata in piccoli gioielli ha posto in risalto il quotidiano percorso dei ballerini - tra sacrifici, slanci, paure ed amori del periodo appena trascorso tra chiusure e restrizioni artistiche - attraverso gli esercizi e il costante lavoro di studio a cui si sottopongono riconquistando il palcoscenico. L’evento ha conferito una nota aggiuntiva all’indiscussa eccellenza dei danzatori guest e residenti - Alessandra Ferri, Svetlana Zakharova, Roberto Bolle, Federico Bonelli - e di tutti gli elementi del Corpo di Ballo i quali si sono posti pur nelle incertezze dovute ad un’emotività del ritorno, all’incanto del sogno rinvenuto. Composizioni coreografiche, omogenee tra loro, hanno veicolato la fruibilità al grande pubblico e non solo agli appassionati, accompagnandoli tra nuovi e antichi linguaggi espressivi del corpo.

Un evento in qualche modo epocale con toccanti ed immortali partiture che hanno sottolineato i passi di ogni singolo danzatore come fossero sagome vibranti in aria, le quali spiccando il volo ritrovano la vita. Applausi meritati e commossi per un nobile passato nella speranza di un futuro condiviso ancora nei colori della passione e della solidarietà.

Mai come questa volta l’omaggio è apparso così partecipe con una serie di pas de deux e assoli: da Rudolf Nureyev a Roland Petit, da Michel Fokin a Maurice Béjart, da Angelin Preljocaj ad Anna-Marie Holmes passando dai riecheggianti Petipa e Sergeyev al presente di Bigonzetti, da Čajkovskij a Mozart, da Saint-Saëns a Bizet, da Ravel a Drigo, da Boris Fitinhof-Schell a Yuly Gerber - sul podio la mano sicura di David Coleman a dirigere l’inappuntabile Orchestra della Scala, per un programma all’insegna delle emozioni. Nel virtuosismo del passo a tre nella grotta dei corsari con Medora, Conrad e lo schiavo Alì, da Le Corsaire interpretato da Martina Arduino, Marco Agostino e Mattia Semperboni, all’attraente seduzione tra Carmen e Don José - Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko - dalla Carmen di Roland Petit in omaggio all’iconica Zizi Jeanmaire, oppure allo stile di Mauro Bigonzetti in debutto con Do a duet nell’interpretazione di Antonella Albano e Maria Celeste Losa, complice assoluto l’Allegro con brio dalla Sinfonia n. 25 in sol minore K. 183 di W.A. Mozart. A seguire l’emblema rappresentativo più alto della ballerina, La morte del cigno, leggendario assolo noto nella storia per i suoi impalpabili ports de bras: l’assimilazione e la trasfigurazione esistenziale così carichi di spiritualità e coscienza. Malinconica e struggente la variazione che Rudolf Nureyev ha affidato eternamente al principe Désiré - in scena il primo ballerino Claudio Coviello - nel secondo atto della sua Bella Addormentata. Passando per quell’infinito bacio del passo a due finale di uno dei più intensi capolavori di Angelin Preljocaj, Le Parc, danzato da Alessandra Ferri con Federico Bonelli sull’Adagio dal Concerto per pianoforte e orchestra n.23 in la maggiore K. 488 di W.A. Mozart, con l’applaudito Roberto Cominati al pianoforte. In chiusura l’acclamato Roberto Bolle, assieme agli artisti del Corpo di Ballo a suggellare la soirée nel crescendo del Boléro di Ravel-Béjart.

La danza è un’arte visiva come la pittura, transitoria nella successione all’interno della nozione di tempo come lo è la musica: azione capace di convogliare espressioni fuggitive, una scrittura che appena tracciata si cancella e che nessun codice, vocabolario o notazione riesce a fissare sulla carta nella sua totalità d’intenti, lasciando inalterato quello stupore del sapersi rinnovare ad ogni alzata di sipario. Le immagini catturate alla Scala nella serata di debutto del Gala si sono tradotte in un significativo tessuto che ha svelato nei corpi scenici le infinite sequenze, bloccate nell’attimo fuggevole di una posa nel suo divenire, mai simile l’una all’altra. La bellezza plastica del balletto è il temperamento del suo poema senza parole, che in passato ha ammaliato il pubblico in ogni dove nell’assistere a quel rito supportato da un individualismo che a sua volta è ispirazione. Ogni danzatore, senza soffermarsi in una cronologia puramente recensiva - con limiti e slanci - ha animato i differenti timbri sulla frase musicale per concludersi nell’ipnotica attrazione dell’artista che non si stanca di ritornare sugli stessi movimenti perché anche l’estrema semplicità risulta seducente, disegnando i contorni della melodia, come fosse un’eccezionale fioritura, frutto di una insolita consapevolezza dei mezzi dell’uomo e delle sue fragilità.


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