La Scala in città, la città alla Scala

di Michele Olivieri

Grande successo di presenza e consensi per la quattro giorni di eventi: Orchestra, Coro e Corpo di Ballo si sono esibiti in quattordici luoghi di Milano dal centro ai quartieri, per concludere al Piermarini. La Scala in Città è parte del palinsesto del Comune di Milano La bella estate.

MILANO, 14 luglio 2021 - La Scala che in queste settimane sta finalmente ritrovando il suo pubblico in sala ha concluso la programmazione, prima della pausa estiva, lasciando le mura del Piermarini e portando musica e danza in città, vicino ai milanesi. L’iniziativa, in collaborazione con la Filarmonica della Scala è nata sotto gli auspici del Comune di Milano e con il sostegno di Edison, coinvolgendo Professori d’Orchestra, Artisti del Coro e del Corpo di Ballo. Tutte le manifestazioni sono state a ingresso gratuito nel pieno rispetto delle norme di sicurezza sanitaria. La selezione dei luoghi, molti dei quali simboli meneghini (con qualche variazione dell’ultima ora causa maltempo) ha puntato sul coinvolgimento più ampio delle diverse aree della città. I programmi sono stati pensati per far conoscere a un pubblico inedito i diversi volti e repertori dei complessi artistici scaligeri, spaziando così dal jazz a Vivaldi, Rossini e naturalmente Verdi con un filo rosso: l’omaggio ad Astor Piazzolla nel centenario della nascita. Il Coro si è presentato in doppia formazione, Coro femminile e organico completo, con progetti che sono andati da Rachmaninov agli Spiritual, da Brahms a Richard Strauss. Il Corpo di Ballo diretto dal Maestro Manuel Legris ha proposto un programma variegato che ha incluso il contemporaneo con le coreografie di Kratz, Valastro, Lukács e Bigonzetti ma anche intramontabili classici del grande repertorio accademico come Sylvia dello stesso Legris e Il lago dei cigni di Nureyev.

La Scala in Città è stato un segnale importante e un’iniziativa necessaria dopo tanti mesi di distanziamento, ma anche un gesto in linea con la storia del Teatro milanese: il Sovrintendente Meyer ha dichiarato spesso di pensare a cosa avrebbe fatto Paolo Grassi nei nostri anni e con i nostri mezzi, e la risposta non può che stare in questa combinazione di presenza fisica dei complessi scaligeri nella città (sono state annunciate anche le recite autunnali del Corpo di Ballo al Teatro degli Arcimboldi) e nuove prospettive di diffusione tecnologica degli spettacoli. La Scala in città sviluppa ed estende a nuovi repertori e nuovi quartieri l’iniziativa della Filarmonica che l’anno scorso, in corrispondenza con la fine del primo lockdown, aveva organizzato una serie di concerti nei cortili di Milano: anche in quel caso i gruppi coinvolti avevano replicato parte dei loro programmi in un concerto finale alla Scala.

Mercoledì 14 luglio a chiusura della felice iniziativa si sono aperte le porte del Teatro alla Scala prima con gli archi della Filarmonica, a seguire il coro, per continuare con i fiati e concludere la maratona artistica con il balletto. Il programma di quest’ultimo ha compreso Sentieri con la coreografia di Philippe Kratz su musica di Fryderyk Chopin. Sylvia con la coreografia di Manuel Legris da Louis Mérante su musica di Léo Delibes. Árbakkinn con la coreografia di Simone Valastro su musica di Ólafur Arnalds. Movements to Stravinsky con la coreografia di András Lukács su musica di Igor Stravinskij. Il passo a due Cantata firmato dal coreografo Mauro Bigonzetti su musica di Amerigo Ciervo (Serenata) con le voci di Cristina Vetrone e Lorella Monti. Il lago dei cigni su coreografia di Rudolf Nureyev da Marius Petipa e Lev Ivanov e musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij. Don Chisciotte con la coreografia di Rudolf Nureyev e la musica di Ludwig Minkus.

Entriamo nello specifico dei pezzi presentati dal sempre duttile e preparato corpo di ballo scaligero: la sublime musica di Fryderick Chopin ha introdotto nella recente ripresa del trio conclusivo di Philippe Kratz SENTieri, legato ad una serie di déjà vu capaci di far riaffiorare attimi di vita già trascorsi, a volte ottenebrati, i quali si tramutano in gesto con flessuosità, intrecciandosi scioltamente. La coscienza diventa facoltà immediata nel comprendere il crescere nella sfera dell’esperienza individuale, e si prospetta in un passato intimo che in breve tempo è già presente, e futuro. Adagio e Coda dal terzo atto del balletto Sylvia (presente nell’imminente nuova stagione in versione integrale) è un presupposto di grazia, in cui i danzatori si ritrovano in armonia con sé stessi. Essi fluttuano congiuntamente alla propria anima, in uno spazio leggendario senza tempo, che rapisce gli astanti dalla realtà per catapultarli in un altro luogo. Il maestro Manuel Legris, nella sua fedele ripresa coreografica da Louis Mérante (con la drammaturgia e il libretto dello stesso Legris in tandem con Jean-Françoise Vazelle da Jules Barbier e dal barone Jacques de Reinach) ha fatto un lavoro ineccepibile. La compagine scaligera ben diretta non si presta a un semplice estetismo del corpo, ma bensì all’espressione di sentimenti ed emozioni. A seguire Simone Valastro con Árbakkinn, un passo a due sulla omonima composizione dell’irlandese Ólafur Arnalds, il quale include il testo di Einar Georg Einarsson recitato dalla sua stessa voce. In scena i danzatori appaiono empatici, liberatori, vigorosi. Il brano ha un significato tutt’altro che nascosto: l’arte per sé stessa, quell’arte disinteressata votata al piacere di farsi ammirare, guadagnando così i favori del pubblico. Árbakkinnè una nube di vapore condensato che rimane sospesa a contatto del palco, è una danza calda che crea stabilità. Le emozioni sono un cielo sereno. Valastro è una sorta di designer in grado di progettare, tracciando le sue idee sulla sabbia, con cerchi, linee, forme indefinite ed intime. Non poteva mancare l’assoluta modernità di Igor’ Stravinskij nel cinquantesimo anniversario della scomparsa, in consonanza con lo spirito e il gusto dei tempi odierni. Il coreografo András Lukács ha ideato Movements to Stravinsky di cui si sono visti alcuni estratti della recente messa in scena per la Serata quattro coreografi [leggi la recensione]. La produzione è astratta, carismatica e minimalista. La coreografia si è lasciata condurre dalle atmosfere della Commedia dell’Arte fino al Rinascimento, mostrando un “classico” rinnovato con intelligenza e raffinato gusto estetico. Lukács ha intessuto un filo del destino, mostrando ciò che dovrebbe accadere nella vita e ciò che dovrebbe accadere nell’arte. Un incastro che non lascia nulla al caso, ogni intenzione si adagia sull’altra con grazia. Lukács sa piegare il corpo dei ballerini come fosse metallo fuso nelle sue mani, plasmandoli. Come già detto in altra recensione, Movements to Stravinsky sopravviverà al tempo, alle mode e a chi verrà dopo perché è ciò che il pubblico si aspetta in alternanza ai grandi titoli del repertorio, e cioè un misto di passione ed innovazione. La serata è poi proseguita con il passo a due Cantata su coreografia di Mauro Bigonzetti, con la musica (o meglio la serenata) di Amerigo Ciervo, un pezzo carnale che ha dato la possibilità agli interpreti (splendidi ed appassionati Antonella Albano e Gioacchino Starace) di appropriarsene con suggestioni e sfumature, permettendogli di liberarsi grazie a una gestualità naturale, sposata a un sentimento di convinzione sui rapporti d’amore e le sue innumerevoli declinazioni che rendono la vita un’alchimia di saliscendi. Dal secondo atto l’Adagio del Lago dei cigni di Rudolf Nureyev creato per la Compagnia dell’Opéra di Parigi nel 1984, seguendo il tracciato di Petipa e Ivanov. Il grande danzatore russo lo ha arricchito di una personale lettura psicoanalitica che concede profondità al manifestarsi dei personaggi, con l’aggiunta di complesse legazioni. Con le sue virtuose variazioni, ripercorre i moti interiori dell’animo di Nureyev, e questo appare evidente in ogni dove. A livello tecnico ciò che si manifesta è un’opera di assoluta bellezza ed eleganza, nonché di pathos ed estetica. La coreografia ricca di contenuti, anche in questo estratto dall’Adagio, è ordinata con movimenti che evocano sui corpi l’agitarsi delle acque del lago tra sentimento e struggimento. Una autentica magia costantemente giovane e fresca. In conclusione, verve e brio hanno riscaldato ancor di più la scena, con pescatori e matadores nella prorompente fioritura di colori, di vivacità e al contempo di difficoltà tecniche firmate ancora da Rudolf Nureyev per il terzo atto (Fandango - Adagio e coda dal Grand Pas de deux - Finale) del Don Chisciotte: un estratto coreografico in grado di restituire con temperamento l’atmosfera di una Spagna da sogno.

La danza, tra classico e contemporaneo, illusoriamente è imitazione, interpretazione, tecnica, descrizione di un’azione o di un pensiero e diviene così arte, in quanto si pone al pari della poesia, raggiungendo come nella presente serata mista La Scala in città un risultato lucente, in cui lo sforzo di tutti (in particolare dei danzatori e di Legris) è ricompensato con ripetuti consensi ed applausi.