Giselle commovente e tradizionale

 di Stefano Ceccarelli

Uno dei più celebri balletti di sempre, Giselle di Adolphe Adam, torna al Teatro dell’Opera di Roma dopo due anni di assenza – io assistetti all’ultima edizione (2013), dove danzò stupendamente la blasonata Zakharova. L’allestimento (scene e costumi) è quello oramai classico, a cui gli abbonati all’Opera di Roma e gli amanti (romani e non) dell’arte coreutica, sono affezionati da circa un decennio: l’edizione di Anna Anni. Dirige David Garforth, ottimo direttore di musica per balletti, un vero specialista del settore. La coreografia è stata montata da Patricia Ruanne, che fu Giselle in gioventù e fu musa e collega di “Rudy” Nureyev. Un balletto amato dal pubblico e ben eseguito: il successo è assicurato!

ROMA, 22 ottobre 2015 – L’Opera di Roma torna a proporre, dopo due anni, il suo allestimento di Giselle di Adolphe Adam – allestimento che ebbe la sua première nel 2004. Ancora ho vivida l’immagine della Zakharova danzante con erotico struggimento il fantasma di Giselle: e scrissi che la Giselle della Zakharova (2013) era delicata, marmorea e soave. Un allestimento che noi tutti, amanti romani della danza, abbiamo nel cuore.

Non poteva non presentarsi all’appello David Garforth, che non manca di dirigere una Giselle romana dal suo esordio nel 2010. Ottimo interprete del repertorio ballettistico, dirige molto bene la partitura – ricca di spirito melodico, ma che non presenta difficoltà certo insormontabili – esaltandone la pasta sonora bucolico/georgica (I atto), come pure le oniriche atmosfere boschive (II atto), e sostenendone sempre il ritmo, che pulsa inesausto e inesauribile nel succedersi delle danze. È intelligente nell’osservare sempre ciò che succede sul palco, in un continuo dialogo fra buca e ballerini, impedendo sfasature fra le performances coreutiche e l’accompagnamento musicale. Musica e danza squisitamente coronate dalle atmosfere semplici, tradizionali, volutamente naïf, anzi arcaizzanti, create da Anna Anni, celeberrima scenografa e costumista che vanta collaborazioni con artisti del calibro di Wells e Zeffirelli. L’allestimento è semplice, quasi dimesso: nel I atto, qualche casetta, un boschetto e un castello in lontananza; il II atto è tutto giocato sulle luci (Mario De Amicis) vagamente spettrali create per esaltare lo schivo bosco della Slesia dove si consuma il notturno sabbat delle Villi. I costumi sono semplici, ma ben fatti: dalle mise dei contadini (sul verde), agli abiti più ricercati, come quello assai elegante di Bathilde e le pomposità del corteo dei nobili cacciatori (I atto).

La coreografia è di Patricia Ruanne, ballerina inglese che danzò i principali ruoli del repertorio e fu prima collega, poi musa e assistente di Rudolf Nureyev. La coreografa, dunque, conosce perfettamente la parte della protagonista, che ha danzato nel fiore degli anni. Il rispetto con cui rielabora la coreografia tradizionale di Jean Coralli e Jules Perrot è quasi sacrale: si consideri, poi, che è un’opera anche di nobile filologia, visto che la coreografia originale di Coralli/Perrot (quella della première all’Opéra, il 28-6-1841) è in buona parte documentata e ricostruibile. La vicenda è quella originale: il balletto è godibilissimo nella sua semplice ma romanticamente struggente trama. Unici tocchi di Ruanne sono l’accentuazione di una pietas, rappresentata da unamaggiore grazia nella danza delle Villi (che non uccidono, infatti, Hilarion) e l’insinuazione che Giselle sia figlia illegittima di Berthe e del duca di Curlandia, padre di Bathilde, promessa sposa di Albrecht. Tutto il corpo di ballo dell’Opera di Roma è al solito preparatissimo: anzi, a onor del vero, rispetto al passato si scorge nettamente un miglioramento, dovuto decisamente all’insediamento della Abbagnato come direttrice del corpo di ballo. Le masse dei ballerini si muovono con ordine e grazia, perfettamente coordinate: le danze dei contadini e il mesto aleggiare delle Villi hanno un loro potente ethos. Il secondo cast dei solisti si fa degnamente valere, segno del salto di qualità sullodato. Gaia Straccamore è una Giselle convincente innanzitutto nel physique du rôle: nell’intero primo atto è vitale, innocente, pudicamente gioiosa. Il pas de deux con Albrecht è l’espressione massima di questo sentimento. Pur non essendo perfetta nell’esecuzione della parte del I atto (qualche lieve imprecisione nella tenuta di talune posizioni o nel recupero dell’equilibrio), il risultato è in ogni caso ottimo. Ci fa gustare la diagonale in relevè – divenuta famosissima proprio per la coreografia di questo balletto – e mira soprattutto all’interpretazione etica della parte: la scena della morte (finale I) è convincente, ma non raggiunge le vette tragiche di una Zakharova. È nel II atto che la Straccamore dà il meglio di sé: si muove e danza con tale grazia eterea da sembrare veramente uno spettro. Il grand pas de deux è patetico, intimistico: l’addio di due amanti. Nella sua variazione, la Straccamore sembra aleggiare inconsistente (negli entrechats le sue gambe sembrano sparire). Albrecht è danzato dal giovanissimo Giacomo Luci: fisicamente credibile nel ruolo, è ancora un po’ acerbo nell’espressività, ma danza con stile. Nel I atto mostra una spensieratezza virile e accattivante, destreggiandosi in un repertorio di salti che interpreta puliti, senza una pesante fisicità. Il II atto, probabilmente, lo ballerà ancor meglio fra qualche anno. Nell’odierna edizione si è lasciato apprezzare per la tecnica e il trasporto dimostrati nel grand pas de deux; commoventi i suoi sforzati entrechats nella scena in cui le Villi lo astringono alla danza. Un Hilarion alquanto sottotono è Giuseppe Schiavone, in cui a un’ottima recitazione fa da pendant una danza un po’ legnosa. Il pas de deux dei contadini (I atto) è danzato da Susanna Salvi e Giuseppe Depalo: la Salvi è scattante e delicata nei passettini della sua variazione; Depalo mostra grande perizia e controllo tecnico, oltre che muscolatura e fisicità, nell’esecuzione della sua variazione (apprezzabili i classici cabrioles). Anjella Kouznetsova impersona un’ottima Bertha; Wilfred è Antonello Mastrangelo; una bellissima e aggraziatissima Bathilde è Tiziana Minio; Paolo Gentile è Curlandia. Infine, spettrale e regale al contempo è la Myrtha di Annalisa Cianci.

Una Giselle bella e commovente proprio perché tradizionale: un banco di prova che attesta l’eccellente lavoro di Eleonora Abbagnato in qualità di direttrice del corpo di ballo. Ma soprattutto una testimonianza dell’arte e della perizia che è in grado di realizzare il corpo di ballo capitolino, un bene che non possiamo permetterci di perdere.

 

foto Yasuko Kageyama (dove non diversamente indicato)