Coppélia: una scultura di Petit

 di Stefano Ceccarelli

Il Teatro dell’Opera di Roma chiude la stagione 2014/2015 con due balletti consecutivi: Giselle e Coppélia. Il messaggio è chiaro: la danza è rilanciata a gran parata. Molto si deve anche al recente insediamento di Eleonora Abbagnato, che ha visibilmente giovato. I due balletti, un vero tour de force per il corpo di ballo, sono stati un successo: cartina di tornasole ne è stata l’affluenza di pubblico proprio a Coppélia, ripresentata nella gustosa versione di Roland Petit che ha strappato molti applausi.

ROMA, 6 novembre 2015 – Il posto che generalmente spetterebbe a un’opera, il maggior teatro romano lo concede a un balletto: Coppélia di Léo Delibes, nella versione di Ronald Petit, genio della coreografia novecentesca. L’antica querelle tra musica e danza sembra veder vincere, una volta tanto, la seconda: e questa Coppélia si merita a pieno titolo di chiudere l’ottima stagione capitolina. Qualcuno anzi – come me, del resto – potrebbe averla già vista e apprezzata al suo battesimo romano, nel settembre del 2013. La versione di Petit è di una vitalissima ironia: sceglie di involare Coppélia alla sua aura bozzettistica, per trasformarla in un vivace, civettuolo presepe cittadino. Ezio Frigerio, ormai un mostro sacro della scenografia, crea per Petit un’ambientazione spoglia, ben squadrate mura di cemento interrotte solo dalle aperture delle finestre e dall’urbana porta di una caserma, dal sapore rinascimentale. Le luci (Jean-Michel Désiré) creano i volumi e le sfumature, evocano la magia. Tutto di questa reinterpretazione è gioco di seduzione, eroticamente ammiccante. I contadini diventano soldati di caserma; le contadine signorine abbigliate alla belle epoque, degassiane. I loro balli non hanno sapore di campi fioriti: hanno il sapore dell’eros giovanile, sfacciato, energico, vivace, ironico, perennemente ammiccante. L’eros che pervade Franz, che per Petit è un adolescente dongiovannesco, dove Swanilda è gelosa e maliziosetta. Il Coppelius di Petit è, invece, un distinto dandy che fa sfumare la tradizionale figura del mago, impacciato, reietto. Petit è intelligente a modellare questi tre caratteri: del resto Coppélia, dal forte ethos mimico, può essere modellata al par di creta nelle mani di abbia idee. Tutto ciò è efficacemente chiarito in una premessa di Roland Petit: «ogni interpretazione è nel contempo sacrilegio e omaggio»; «la mia visione di questo balletto non tradisce nessuno»; «all’ambientazione agreste eccessiva, che nasconde spesso il segreto drammatico di Coppélia, mi sono sempre opposto privilegiando momenti che mettevano in luce l’estraneità dei rapporti tra Coppélius, Swanilda e Franz». E l’ambientazione simbolo di questo strano triangolo (anzi, quartetto: non si dimentichi Coppélia, nella versione di Petit dichiaratamente doppelgänger di Swanilda) è proprio l’interno della Casa di Coppelius, che Frigerio s’immagina abbastanza lineare, ma elegante, togliendo la congerie di automi semoventi che caratterizza la versione originale: un tavolo, un candelabro, qualche separé e il gioco è fatto.

Garante filologico del volere del defunto maestro è Luigi Bonino, che ballò con Petit e ne rimonta sovente le coreografie – presente, peraltro, in questa produzione anche nelle vesti di Coppelius. Personaggio cardine di questa forte rivisitazione drammatica è, anzi, proprio Coppelius, danzato dallo stesso Petit oramai a fine carriera. Ne veste i panni Denys Ganio, che con Petit collaborò e fu étoile proprio del Ballet de Marseille: Ganio danza con grazia, trasfigurando un goffo mago in un galantuomo anziano, ma risoluto. Il ballo di Coppelius e la pseudo-Swanilda (II) rappresenta il momento coreutico culminante della sua parte: Coppelius danza con una bambola-Swanilda in lattice, solleticando sensazioni antropologicamente inquietanti. Infatti, il culmine drammatico l’avrà nel finale, dove la sua Swanilda si distruggerà dinnanzi ai suoi occhi (persino la vera Swanilda avrà un momentaneo moto di compassione). La parte di Swanilda è danzata magnificamente da Susanna Salvi: di minuta corporatura, possiede perfettamente il physique du rôle. Fin dalla sua entrata, sulle celeberrime note della Valse lente (I), palesa grazia e gentilezza nella serie di saltellini e passettini che infiorano la sua parte: possiede specchiate doti tecniche, oltre che pulizia di linee e movimenti. Ma stupisce soprattutto per le sue doti recitative: non è facile infondere il giusto grado di innocenza e malizia a un personaggio così profondo come la Swanilda di Petit. Si fa apprezzare anche nelle parti ‘meccaniche’ (II): la Valse de la poupée, il Boléro e la Gigue, dove Petit richiede non tanto un’abilità prettamente ginnico/tecnica, ma un’interpretazione convincente. Petit dissemina la sua versione di Coppélia di petit pas de deux fra Swanilda e Franz, che gli servono soprattutto per plasmare coreuticamente l’eros spensierato e semplice che pervade il rapporto fra i due: due grilli che si rincorrono a saltelli, una teoria di maliziosi mordi e fuggi danzanti. Franz è danzato dall’ottimo Claudio Coviello, giovanissimo e pure già primo ballerino del Teatro alla Scala. I motivi sono palesi: perfezione tecnica, impressionante pulizia di movimenti coniugata a un notevole atletismo (mai meramente muscolare), estrema musicalità, bellezza estetica. Sembra ballare tutto «sul fil d’un soffio etesio», come direbbe il Boito del Falstaff. A queste doti tecniche si aggiungono poi quelle prettamente recitative: sa fare lo spavaldo, il seduttore, il dongiovanni, anche per far ingelosire Swanilda. La sua forza erotica adolescenziale è perfettamente resa dalla serie di grand jeté (anche en tournant) che ci regala, come pure dai salti, dalle pirouettes, dai fouettés en tournant. Deliziose le sei amiche di Swanilda, espressive e ottime negli insiemi: Marianna Suriano, Federica Maine, Annalisa Cianci, Marta Marigliani, Giovanna Pisani e Flavia Stocchi. Tutto il corpo di ballo è ottimo negli assiemi, considerando soprattutto la difficoltà di una serie di giochi di estrema precisione che Petit pretende dai ballerini: il tutto, poi, dev’essere coniugato a una recitazione ironica, ma mai sforzata. Si pensi alle varie danze di carattere, come la Mazurka e la Czárdás del I atto o i divertissements della seconda parte del II. La produzione è un autentico successo, testimoniato dall’affluenza di pubblico e dagli applausi tributati a sipario alzato. I miei complimenti vanno anche all’ottima direzione di David Garforth, che sa interpretare ottimamente una partitura squisitamente melodica, ma che necessita di attenzione agogica per non appiattire i vari passaggi e l’allure dei singoli momenti, come le danze. Degna conclusione di una bella stagione e si spera nunzia di una stagione ancor migliore.

 

foto Yasuko Kageyama