L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

I colori dell'acqua

 di  Andrea R. G. Pedrotti

Il Wiener Staatsballett e l'orchestra della Staatsoper brillano nella ripresa del classico per eccellenza del balletto, Il lago dei cigni nella versione concepita da Rudolf Nureyev nel 1964, prendendo spunto da Marius Petipa e Lew Iwanow.

VIENNA, 8 marzo 2019 - Nell’anno del centocinquantenario dalla fondazione del teatro nazionale, nella sua concezione di edificio destinato alla borghesia e non più esclusivamente alla corte imperiale, torna a far bella mostra di sé un grande classico della danza come Il lago dei cigni, nella versione concepita da Rudolf Nureyev nel 1964, prendendo spunto da Marius Petipa e Lew Iwanow.

Come noto, a Vienna, fin da prima che l’attuale Wiener Staatsoper venisse edificata e specialmente dalla rivoluzione borghese del 1848 (anno dell’incoronazione di Francesco Giuseppe), fiorisce la passione per il per il trascendente e per il sogno. In sostanza la danza, in quanto linguaggio non verbale, si sposa magnificamente con il gusto viennese e con la concezione fiabesca della narrativa. Il lago dei cigni ha in sé molto di tutto questo, compreso il retaggio, anch’esso caro a Vienna, della classicità con il tema del doppio mostruoso di cui la poetica euripidea seppe pascersi nello splendore letterario della Grecia antica.

Uno spettacolo di danza necessita di un rigore e di una disciplina a cui il Wiener Staatsballett è notoriamente avvezzo; oltretutto, se ci ragioniamo, la passione per il balletto accomuna le capitali imperiali del XVIII e XIX secolo (Parigi, Londra, Vienna, Mosca), tale è il fascino di grandiosità che permea la magnifica esibizione tersicorea di un organico tanto nutrito e strutturato.

La coreografia di Nureyev accresce drammaticità e passionalità in una vicenda che volge, in questa versione, verso la dipartita di Odette e del principe Siegfrid: un ulteriore richiamo, nella mente di chi scrive, a Euripide e all’epica classica, con l’emblema sacrificale dell’animale che, nella metafora o nell’effettiva forma fisica, si fa fanciulla.

I quattro atti scorrono fluidi nella drammaturgia e coinvolgono per la bellezza delle luci, che ben accompagnano le movenze dei soli sul palcoscenico. Molte istantanee di questa versione, e di Il lago dei cigni in genere, insistono sulle danze del II e del IV atto, che, tuttavia, privano l’occhio del movimento che riproduce esattamente quello degli eleganti pennuti in uno specchio d’acqua, ma è la bellezza della policromia del III atto a rapire l’occhio nell’autentico consumarsi della tragedia dell’inganno che Odile tesse nei confronti del principe. La bellezza scintillante dei costumi delle danze spagnole, napoletane, polacche e ungheresi ci accompagna verso un finale, quello del IV atto, durante il quale sul palco della Wiener Staatsoper si manifestano i flutti del lago (mai visto prima d’ora in un teatro un effetto acquatico tanto realistico) e tutti i sensi vengono coinvolti, poiché la leggera nebbia che si alza, frattanto che il mago Rotbart gioisce del suo trionfo e Siegfrid annega senza speme, si avverte uno strano profumo di umidità e d’incenso che invade la sala, accentuando il coinvolgimento, la catarsi, la purificazione dello spirito che (e qui ci rifacciamo ancora ai classici) si può manifestare nella mente umana solo con l’accettazione della tragedia. Infatti è la tragedia che, paradossalmente, appaga gli antri più reconditi del nostro spirito.

Fra i protagonisti trionfa il principe Siegfried di Vadim Muntagirov, il quale, oltre a una grande fluidità nella precisa esecuzione dell’esercizio tecnico (impressionante la sua elevazione nei salti), offre una prova che brilla particolarmente per espressività, palesando con struggente efficacia tutti gli stati d’animo del principe, nella giovanile spensieratezza, nell’elegia e nel dramma conclusivo. Accanto a lui, nel ruolo di Odette/Odile, Kiyoka Hashimoto regala al pubblico una prestazione convincente, in crescendo nel corso del balletto, ottenendo, assieme al collega, autentici boati da stadio, anche a scena aperta, specialmente nel corso del III atto.

Il mago Rotbart era il bravo Alexandru Tcacenco e la regina, madre del principe, Alena Klochokova.

Altri primi ballerini del Wiener Staatsballett impegnati erano Elena Bottaro, Adele Fiocchi, Tristan Ridel, James Stephens, Christoph Wenzel e Gabor Oberegger.

Componente fondamentale della felice riuscita della serata è stata l’orchestra della Wiener Staatsoper, diretta da Paul Connelly, inebriante nelle dinamiche, fino a diventare eccitante nell’aumento dell’intensità e nell’esecuzione di alcuni fortissimi di sublime bellezza, quasi erotica. Stupefacente la prova degli ottoni, parimenti a quella di tutte le altre sezioni di un organico che, nel repertorio sinfonico, non teme rivali al mondo.

Il successo dell’orchestra non deve essere secondario, considerata la moda deprecabile di eseguire balletti senza strumentisti, ma con discutibili basi registrate, per non meglio precisate ragioni di bilancio che, in compenso, sicuramente mutilano l’efficacia dello spettacolo complessivo.

Scene e costumi erano di Luisa Spinatelli, assistita da Monia Torchia, le luci erano curate da Marion Hewlett, mentre la coreografia era ripresa da Manuel Legris.

foto Wiener Staatsoper GmbH/ Ashley Taylor 


 

 

 
 
 

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