Il ritorno di Don Chisciotte

 di Stefano Ceccarelli

L’Opera di Roma mette nuovamente in scena il già rodato Don Chisciotte di Ludwig Minkus. Garforth dirige bene e il corpo di ballo, nella coreografia di Laurent Hilaire, è in grande spolvero: i solisti, Rebecca Bianchi e Simone Agrò, ci fanno godere una buona serata di danza.

ROMA, 16 ottobre 2019 – Torna al Costanzi il colorato e vivace allestimento, a firma di Vladimir Radunsky e A. J. Weissbard, del Don Chisciotte di Minkus. Per il positivo giudizio su un’idea registico-scenica assai divertente e vivace, ispirata all’universo dei cartoons, spiritosa e piacevole, rimando a quanto ho già scritto nella recensione della precedente mise en scène romana (la recensione).

Il corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma, anche in questo allestimento, dà prova di abilità e professionalità. Le coreografie sono eseguite assai bene; così pure le scene ‘corali’. I comprimari, del pari, mostrano tutti perizia e buona tecnica. Mi riferisco in particolare alla coppia Espada – Mercedes, in questa data danzati da Giacomo Castellana – Marianna Suriano. Ambedue eseguono il loro pas de deux con energia e spinta dinamica, mostrandoci il classico campionario di abilità richieste a un ballerino classico, non senza obliare sensualità e carattere. Spassoso il Gamache di Andrea Forza, una sorta di miles gloriosus buffo e impacciato. Damiano Mongelli recita un Don Chisciotte etereo; Mike Derrua un Sancho Panza comico e impacciato, secondo copione. Anche il Lorenzo di Alessandro Rende è perfettamente in carattere. Ancora una volta, il quadro che più ammalia è il sogno di Don Chisciotte (atto II, 2). Qui è il corpo di ballo femminile che la fa da padrone, volteggiando con eterea sembianza in questa erotica fantasia del parodico condottiero. Flavia Stocchi danza un aereo Amore, delicata e verticale, senz’essere pesante; Federica Maine, ugualmente, esegue bene la parte della Regina delle driadi. La compagine maschile del corpo di ballo, invece, emerge in tutta la sua energia nel primo quadro del II atto, con le danze circolari e muscolari dei banditi, il cui Capo, Walter Maimone, si distingue per energia e presenza; anche le coreografie dei toreri dell’atto I, ovviamente, sono da menzionare per l’eccellente resa.

Veniamo, ora, ai due protagonisti, Kirtri e Basilio, questa sera eseguiti rispettivamente da Rebecca Bianchi e Simone Agrò. La Bianchi ottiene certamente l’ennesimo successo personale; non che la sua performance sia stata sempre perfetta – vi sarebbe da notare qualche problema qua e là; ma non importa: la Bianchi incarna scenicamente una Kitri sensuale, ammiccante, peperina. L’interprete, con ottima tecnica, scontorna un personaggio convincente. Vorrei almeno citare i suoi due pas de deux con Basilio, le cui variazioni sono tecnicamente assai ardue e affrontate con aerea precisione dalla Bianchi. Mi riferisco alle celeberrime ‘variazioni di Kitri’, che sono assurte a fama a prescindere dall’intero balletto, un gioco continuo di punte e saltelli, che mettono a dura prova la resistenza dell’interprete: nella prima, dal I atto, la Bianchi è tutta sensualità e mostra una solida diagonale; nella seconda (III atto), su un accompagnamento più leggero, tutta l’arte dell’abile gioco di punte e posizioni. Insomma, la Kitri della Bianchi è assolutamente apprezzabile. Simone Agrò danza un Basilio energico, ben recitato, muscolare, ma soprattutto sempre pulito nelle linee, slanciato, oltre che – come ho detto – perfettamente in carattere. Le sue variazioni sono un tripudio di linee, pulite e precise, di slanci verticali, di assestati coupé jeté en tournant en manége: il suo Basilio rimane impresso per abilità mimetica e perizia tecnica.

Infine, l’orchestra del teatro dell’opera di Roma suona bene sotto la bacchetta esperta di David Garforth, sostanzialmente onnipresente a Roma quando si tratta di direzione di balletti. La serata, dunque, è certamente piacevole, una produzione frizzante e fresca che il Costanzi farebbe bene a tenere stabilmente in cartellone.