L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Venezia in grigio

di Roberta Pedrotti

G. Verdi

I due Foscari

Stoyanov, Pop, Katzarava, Prestia

direttore Paolo Arrivabeni

regista Leo Muscato

Orchestra filarmonica Arturo Toscanini

Orchestra giovanile della Via Emilia

Coro del teatro Regio di Parma, maestro del coro Martino Faggiani

Festival Verdi, Parma, Teatro Regio 11 ottobre 2019

DVD Dynamic 37865, 2020

Leggi la recensione della prima: Parma, I due Foscari, 26/09/2019

I due Foscari è un'opera bellissima, ma assai difficile. Quello che può essere il suo punto di forza può essere anche la sua debolezza: tutto sta nel far sì che l'ossessivo, claustrofobico dilatarsi dell'attesa di una catastrofe annunciata già nelle prime scene, il rincorrersi di personaggi che non fanno che ripetere gli stessi concetti (Jacopo piange l'esilio ingiusto, Lucrezia tenta invano di salvare il marito, Francesco deplora la sua condizione di doge e padre in conflitto di doveri e affetti, Loredano trama la rovina dei Foscari) non si tramuti in gemebonda staticità. Se si riesce nell'intento, si avrà un dramma psicologico potente e moderno, ma non è quello che ottengono Leo Muscato regista e Paolo Arrivabeni direttore in questa produzione del Festival Verdi 2019.

Che la scena sia minimalista e quasi fissa non è un problema, anzi. Lo è che la recitazione si limiti a entrate, uscite, in piedi, in ginocchio, scambio di posizioni, spalle al pubblico e voltarsi per attaccare la cabaletta. Cose che in genere un cantante di poca fantasia fa pure senza regista, al quale invece si chiederebbe di entrare nel vivo dei personaggi, dei loro rapporti, dei temi cardine del dramma. Abbiamo, in compenso, le solite luci a tagliare atmosfere brumose come in quasi tutti gli spettacoli di Muscato, un pizzico di Ottocento risorgimentale con allusioni a Senso e un Francesco Foscari vestito da Verdi, il balletto dei clown veneziani con remi e salvagente. Dal vivo non sono mancati sbadigli, né mancano di fronte al dvd finché il tremante doge/compositore non stramazza al suolo davanti a uno specchio.

Non ricordavamo molto colori nella concertazione di Paolo Arrivabeni e a quanto pare, ahinoi, la memoria non ci tradiva. È vero che la tinta dei Due Foscari è cupa e omogenea, ma proprio per questo andrebbe stesa con arte e ombreggiature per farcene conoscere tutte le nuances, per entrare davvero nello sviluppo che Verdi concede a un soggetto così minimalista e che altrimenti pare prolisso e monotono. Ma il tempo sospeso, la tensione dell'attesa senza speranza è proprio il colpo di genio di Verdi drammaturgo musicale, nonché la trappola inesorabilmente tesa a chi non riesca a dar vita a questa costruzione dolorosa.

Il compito per gli interpreti, in queste condizioni, non è facile e si rende l'onore delle armi senz'altro a Vladimir Stoyanov, che canta sempre con garbo e stile, espressivo, distinto e misurato, almeno finché non viene detronizzato e può legittimamente, pur esausto, dar sfogo a una rabbia troppo a lungo repressa sotto il manto dogale. Parte un po' in sordina - ma la cavatina è davvero perfida - Stefan Pop e si rinfranca nel corso dell'opera, confermandosi professionista solido, affidabile e generoso. A Giacomo Prestia, poi, giova la ripresa video, che gli concede nei primi piani di riscattare la misera figura riservata in questa produzione a Jacopo Loredano - ruolo musicalmente minimo, ma perciò ancor più inquietate quale implacabile persecutore dei Foscari. Bene, poi, tutti i comprimari (Francesco Marsiglia come Barbarigo, Erica Wenmeng Gu Pisana, Vasyl Solodkyy Alfiere, Gianni De Angelis Servo del Doge) e il coro istruito da Martino Faggiani.

Resta la primadonna, e qui purtroppo non c'è nulla da salvare. Quanto in Stiffelio aveva convinto, tanto nei Due Foscari è precipitata Maria Katzarava. Il sostegno precario del fiato si ripercuote in una linea accidentata e in un'intonazione periclitante, specie nei cantabili, ma anche in eccessive tensioni in acuti e in passaggi d'agilità abborracciati proprio là dove il virtuosismo di forza dovrebbe costituire il fuoco, insieme con l'abbandono della preghiera, di Lucrezia Contarini Foscari. E se già la direzione teatrale e musicale tende ad anestetizzare il dramma, l'assenza di un vero elemento dinamico e propulsivo quale il soprano dovrebbe essere fra i dolori di padre e figlio finisce per far dimenticare senza rimpianti queste serate, aspettando altri Foscari, magari l'interesse di un grande concertatore e di un grande regista al fascino difficile e scontroso di quest'opera di un genio del teatro musicale.

 


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