L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Lo scrigno di Rameau

di Roberta Pedrotti

J.P. Rameau
Les Boréades
Guilmette, Vidal, De Negri, Purves
direttrice Emmanuelle Haïm
regista Barrie Kosky
Choeur et Orchestre Le Concert d'Astrée
Digione 28 marzo 2019
DVD ERATO 019295050399 2021

Jean Philippe Rameau muore il 12 settembre 1764. Non fa in tempo a portare al debutto la sua ultima tragédie lyrique, Les Boréades, la cui messa in scena effettiva stentava a concretizzarsi anche per i contenuti massonici e illuministi del testo, considerati sospetti, sicché la partitura riposerà ancora per due secoli, risvegliandosi finalmente per una prima esecuzione in forma oratoriale nel 1964 e poi, alla vigilia del trecentesimo della nascita del compositore, finalmente in scena, nel 1982, regia di Robert Carsen, William Christie sul podio.

In questa coproduzione fra Berlino e Digione, invece, le redini dello spettacolo sono nelle mani di Emmanuelle Haïm e Barrie Kosky. Lei, punto di riferimento nel barocco francese, garantisce con i coomplessi del suo Concert d'Astrée una lettura idiomatica, padroneggia con mordente teatrale la retorica della declamazione e del cantabile, l'articolazione strumentale, la tensione teatrale abilmente intrecciata ai numeri di danza, senza che nulla scada nell'artificioso esornativo, tutto appaia bensì  necessario e consequenziale. Lui declina l'idea portante del ballo in un moto coreografico perpetuo completamente saldato all'azione; con il coreografo Otto Pichler reinventa nel XXI secolo la grandiosità della tragédie lyrique, il suo rapporto simbiotico con l'arte tersicorea. Non dimentica, però, che il mito di Abaris pone in evidenza il percorso individuale di due protagonisti verso una crescita e un'affermazione di sé nonostante i condizionamenti esterni. La regina Alphise ama riamata Abaris, ma la ragion di stato le impone di scegliere come sposo un discendente del dio Borée. Disobbedisce, sostenuta dal popolo, suscitando l'ira della divinità e dei pretendenti. Prigioniera nel regno di Borée, resiste a ogni minaccia, ferma nella sua fedeltà all'amato, che giunge per liberarla armato della freccia d'oro di Amour. Infine, Apollon dichiara il già vincitore Abaris come suo figlio nato da una discendente di Borée, legittimando quindi pienamente le nozze. L'azione si condensa, Apollon e il suo sacerdote Adamas sono affidati allo stesso interprete (Edwin Crossley-Mercer), così come Amour si fonde con la confidente Sémire, la musa Polymnie e una Ninfa nelle sembianze e nella voce dell'ottima Emmanuelle De Negri, varia, incisiva e brillante, mai petulate. Borée (Christopher Purves), la cui parte sarebbe decisamente circoscritta, moltiplica la sua presenza affiancandosi alle forze sovrannaturali che intrecciano i destini di Alphise e Abaris (ma anche dei pretendenti Calisis e Borilée, rispettivamente Sébastien Droy e Yoann Dubruque). La scena di Katrin Lea Tag, autrice pure dei costumi, non è che una grande scatola che funge anche da sipario: l'opera abbandonata e addormentata senza debutto esce dallo scrigno, ma anche i sentimenti intimi dei due protagonisti trovano rifugio o incontrano l'esterno, dimensione pubblica e privata hanno una precisa definizione in un gioco teatrale chiaro e raffinato, cesellato al dettaglio anche grazie alle splendide luci di Franck Evin. I toni di grigio fra il bianco e il nero, le linee pulite che nel giubilo nuziale si adornano di grandi fiori variopinti e nel regno di Borée sono ferite da desolazione e macerie si incontrano alla perfezione con l'essenza del sottotesto illuminista, con la pregnanza dell'elaborazione musicale di Rameau all'estremo della sua parabola creativa.

Detto che tutto il cast entra alla perfezione nel disegno di Kosky e si trova in totale sintonia con la concezione di Haïm, non si può non lodare soprattutto la nobile intensità di Hélène Guilmette (Alphise), la duttilità dell'haute-contre (tenore iperacuto) Mathias Vidal, chiarissimo nell'articolare nel giusto registro retorico l'evoluzione di Abaris da umile innamorato a consapevole semidio, o, semplicemente, uomo libero di essere e amare.

 


 

 

 
 
 

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