La montagna incantata

 di Roberta Pedrotti

 

Charles Wuorinen

Brokeback Mountain

Okulitch, Randle, Buck, Minutillo, Herschenfeld

direttore Titus Engel

regista Ivo Van Hove

Prima rappresentazione assoluta, Teatro Real di Madrid, febbraio 2014

DVD Bel Air Classique/Teatro Real BAC111, 2015

Speciale Brokeback Mountain a Madrid

Brokeback Mountain, il libretto

Sono giovani, si conoscono, si amano, ma il loro è un amore impossibile. Per diverse ragioni sono costretti a matrimoni infelici, ma il sentimento non si spegne e conduce a un drammatico epilogo.

Trama perfetta per un melodramma, soggetto già, con occasionali variazioni, di mille melodrammi. Cosa cambia se invece di parlare di Giulietta e Romeo, Charlotte e Werther, Lucia ed Edgardo parliamo di due cowboy, Jack ed Ennis? Assolutamente nulla, e infatti Brockeback Mountain, per di più sulla scia mediatica della fortunata pellicola di Ang Lee, è un melodramma perfetto, con tutte le carte in regola per entrare nel repertorio di quei teatri che non abbiano paura di programmare anche qualche titolo scritto dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Per i pochi che non conoscano né la novella di Annie Proux, autrice anche del libretto, né il film con Heath Ledger e Jake Gyllenhaal, Ennis e Jack sono due giovanotti assunti per badare durante l'estate a una mandria al pascolo sull'immaginaria Brockeback Mountain. Fra i due, entrambi spiantati, ma assai diversi per indole ed esperienze, taciturno e diffidente l'uno, con una difficile storia familiare alle spalle, più solare ed estroverso l'altro, proveniente da una famiglia semplice, nasce l'amore. Impossibile uscire allo scoperto nel Wyoming degli anni '60, ed entrambi si sposeranno e costruiranno delle famiglie destinate a naufragare, incontrandosi solo una volta all'anno fino a un doloroso addio. Dopo anni Ennis scoprirà che Jack aveva conservato una sua camicia, segno di un amore profondo e segreto, ed era morto per un'aggressione omofoba mascherata da incidente stradale. Ennis, che aveva rifiutato di uscire allo scoperto temendo i pregiudizi della società e proprio quelle violenze che hanno portato alla morte di Jack, ora pronuncia una sorta di estremo, disperato voto nuziale “ Jack, I swear” (Jack, io lo giuro”). Queste sono anche le ultime note della partitura, quando già l'orchestra tace: il sigillo assoluto d'una storia d'amore assoluta.

Charles Wuorinen (1938), il compositore, avrebbe avuto buon gioco, in realtà, sfruttando la carta della melodia, dell'abbandono cantabile, secondo una chiave di lettura più romantica e melodrammatica ben ammessa dalla storia di un amore immenso e impossibile. Prende invece una strada diversa, come ben sottolineò il compianto Gérard Mortier, che poco prima di morire, in qualità di direttore artistico del teatro Real di Madrid, fu il mentore che commissionò e volle fortemente la realizzazione di quest'opera. Mortier, in una delle sue ultime interviste, parlò di un carattere “pucciniano” del film di Ang Lee, mentre la partitura ha un carattere più asciutto, più duro; sentiamo Stravinsky in certi intervalli e in certe formule vocali che paiono desunte da The Rake's progress (in particolare la petulanza grottesca di Baba la Turca riecheggia nella scena dell'acquisto dell'abito da sposa con Alma, sua madre e la venditrice), sentiamo Schoenberg, sentiamo perfino una punta di Wagner, non certo nelle proporzioni e nella magniloquenza, ma nell'unione schopenhaueriana con la natura, in quel senso di universale che pervade intimamente l'idea di questo dramma.

Il libretto di Annie Proulx va in questa direzione, ribadendo l'aderenza narrativa che era già nella sceneggiatura cinematografica di Larry McMurtry e Diana Ossana, ma, essendo firmato dalla stessa autrice della novella, con uno spirito ancora più vicino all'intento originale, essenziale e privo di speranza. Ne risulta un dramma intimo, asciutto, nel quale, però, la costrizione e l'infelicità che ne consegue pervadono inesorabilmente ogni esistenza, ogni istante. Nessuno può dirsi felice, perché l'impossibile realizzazione del sentimento fra Jack ed Ennis li porta a cercare forme d'amore e famiglia riconosciute e accettate, e in esse a causare nuovo dolore, in se stessi e nelle donne che hanno sposato senza vero amore e desiderio, in esistenze fasulle in cui ciascuno anela a qualcosa che non potrà mai avere, sia anche un ranch o una vita agiata in città. “I wish I were...” si ripete il Tom Rakewell di Stravinsky, e con lui potrebbero dirlo tutti i personaggi di Brokeback Mountain, vittime dell'impossibilità di vivere la propria natura e i propri desideri, non solo nei sentimenti.

La montagna, allora, è più che mai un luogo ideale, simbolico, non per nulla immaginato ex novo dall'autrice, un richiamo profondo, atavico, inesausto e destinato a rimanere inappagato. La montagna è il sogno di una felicità impossibile, è lo spazio incantato e irrealizzabile in cui un essere umano può veramente essere se stesso. Con una strumentazione rarefatta, una gestione delle aree armoniche che non imita Britten ma non è certo immemore della politonalità britteniana, una prosa musicale fedelissima al testo ma capace di esprimerne la profondità e i sottotesti, Wourinen dà voce alla Montagna come al soffocante, miserabile mondo piccolo borghese cui tutti aspirano ad adeguarsi, cui tutti sono costretti ad adeguarsi a costo della vita.

La scena dell'ultima notte dell'estate a Brokeback Mountain ne è realizzazione anche visiva emblematica: cowboy in nero, servi di scena, smontano l'accampamento rivelando, fuori dalla protezione della tenda, il tenero, casto abbraccio di Ennis e Jack mentre lo schermo dove si proiettavano i paesaggi montani lascia spazio alla realtà fisica e minacciosa dei futuri appartamenti dei due, dove li attendono le loro future, infelici, famiglie “normali”, mentre fari bassi, di taglio, puntano il dito spietate abbagliando quell'ultimo istante di felicità. Merito dell'azzeccata messa in scena va al regista Ivo Van Hove e ai suoi collaboratori Jan Versweyveld (scene e luci)m Wojciech Oziedzic (costumi) e Tal Yarden (video), Jan Vandenhouwe (drammaturgia). Con la bacchetta di Titus Engel si completa un gioco di squadra che ha tutta l'aria (non essendoci al momento termini di paragone) di rendere piena giustizia alla creazione, frutto di un perfetto equilibrio di forze di qualità motivate e convinte

Una lode speciale, in questo senso va a tutto il cast, a cominciare, ovviamente, dal baritono Daniel Okulitch (Ennis) e dal tenore Tom Randle (Jack). Cantano bene, senza barare come talora accade in questo repertorio, e recitano non meno bene, senza far rimpiangere i bravissimi Ledger e Gyllenhaal né imitandoli. Anzi, pregio dello spettacolo, aderente alla novella che descrive i due cowboy non certo come due modelli di bellezza, è il non mortificare due cantanti che hanno il physique du role di due giovanotti dediti alla vita all'aria aperta, ma di dare parimenti un'immagine dimessa, quotidiana, ordinaria dei due personaggi. Non appaiono belli, la loro non è un'attrazione fisica perché non c'è nulla di speciale in loro, nulla che li distingua se non il loro amore.

Alma, Heather Buck, Lureen, Hannah Esther Minutillo, Aguirre e Hog-Boy, Ethan Herschenfeld, la madre di Alma, Celia Alcedo, i genitori di Jack, Jane Henschel e Ryan Mcpherson, con la barista di Hilay Summers, la commessa del negoszio d'abiti da sposa, Letitia Singleton, il cowboy di Gaizka Gurruchaga, il Bill Jones di Vasco Fracanzani e il coro del Teatro Real sono semplicemente perfetti.

La memoria di Mortier, cui è dedicato il DVD, difficilmente avrebbe potuto essere meglio onorata.

Quando potremo vedere Brokeback Mountain in Italia? E quando in un'Italia, e in un mondo, dove ci si possa commuovere per una splendida storia d'amore impossibile con la consolazione che la pretesa di qualcuno di giudicare "sbagliato" un sentimento come questo sia definitivamente sepolta nel passato con altri errori dell'umanità?