mefistofele, boito

All'attimo fuggente: Arrestati: sei bello!

 di Andrea R. G. Pedrotti

Arrigo Boito

Mefistofele

Pape, Calleja, Opolais, Babajanyan

direttore Omer Meir Wellber

Bayerisches Staatsorchester

Regia Roland Schwab

DVD UNITEL CMajor 739208, 2016

Leggi la recensione delle recite in teatro:

Monaco di Baviera, Mefistofele, 29/10/2015

Monaco di Baviera, Mefistofele, 24/07/2016

Finalmente Mefistofele il capolavoro di Arrigo Boito, colui che sapeva imprimere la magnificenza del suo debordante genio in ogni suo scritto, viene degnamente eternato. È stato un onore essere presente in sala sia in occasione del debutto assoluto di quest'opera (anche se definire Mefistofele soltanto “opera” è riduttivo) nell'ottobre del 2015 sia nel luglio del 2016, nell'ambito della ripresa dei principali titoli della stagione che la sempre illuminata dirigenza della Bayerische Staatsoper offre al suo pubblico nel corso dell'Opernfestpiele. L'attimo fuggente vissuto in queste due occasioni ora si arresta, bello, grazie all'ultima incisione in DVD della UNITEL.

Da una registrazione effettuata in una delle poche Fondazioni Liriche al mondo prive di mende organizzative era ben difficile immaginare imprecisioni o errori e, ancora una volta, non siamo stati delusi: il massimo teatro bavarese sta abituando a produzioni innovative ai massimi livelli qualitativi ed esecutivi internazionali, rifuggendo in ogni caso una mediocrità che non sia l'abitudine allo straordinario.

Boito, con questa composizione, tentò, come fecero altri, di trasporre in melodramma uno dei massimi capolavori della letteratura di tutti i tempi: il Faust di Wolfgang von Goethe. Nessun altro, tuttavia, quanto il padovano riuscì a cogliere, sintetizzare e trasporre in un altro linguaggio comunicativo, con tanta profondità e precisione un testo totemico di capitale importanza per quel romanticismo letterario che, grazie all'Illuminismo, andava a riscoprire la natura dell'uomo attraverso un procedimento d'indagine che fu degli antichi studiosi dell'Accademia di Atene, di cui Platone fu fondatore e Scolarca.

Il Faust di Goethe, così come il Mefistofele di Boito, sono la narrazione della vita di un uomo nella sua affannosa ricerca della vita eterna: è la sua utopia, che si scontra con la distopia del demonio, al quale arriva a vendere l'anima, il suo essere uomo, pur di giungere al suo scopo, a costo di perdere la sua dignità di uomo.

Distopia e utopia sono ideali soggettivi, quanto il bene e il male. Il regista, Roland Schwab rinuncia a tutte le immagini iconografiche stereotipate, manierate e fallaci trasmesse dai suoi predecessori. Mefistofele, asciutto nella sua fredda malvagità, durante il Prologo in cielo osserva con scherno, assieme ai suoi accoliti, i progressi dell'uomo nelle arti e nelle scienze che vorrebbe portare, con la sua opera, alla distruzione e all'annientamento. La leggenda da cui ebbe origine il personaggio di Faust è nota e già ne parlammo nella recensione discografica dell'opera omonima di Gounod dal MET [leggi la recensione].

La ciclicità della vita, alternarsi di questa con la morte, il susseguirsi delle generazioni: Mefistofele tenta di arrestare questo, piegare alla sua ridda infernale, simbolo di distopia, l'angelica spira dell'utopia. Porre fine a ciò che in natura, di cui l'uomo fa parte, era stato creato, condurre alla morte, non intesa banalmente solo come cessazione delle funzionalità biologiche del singolo.

Un prologo in cielo che deve esser fatto di presentimenti e sensazioni. Non a caso Arrigo Boito indica il coro con la definizione di “Echi”: puro significato senza fuorviante, quanto ambigua, immagine significante.

Il presentimento di ciò che sarà è ben esplicitato nella lettura di Schwab, che inserisce nel Prologo in cielo una prolessi dell'Epilogo pienamente corretta, anche perché la parte musicale affidata al coro nel principio dell'opera è quasi identica quella del finale. Faust, in questo allestimento, appare sulla scena già durante il primo quadro; sul suo petto viene scritta, col sangue di alcuni cadaveri riversi sul palcoscenico, la parola Reue (pentimento in tedesco) e, infatti, sarà proprio il rimorso a fargli comprendere i delitti compiuti per ottenere i suoi scopi e, in questo momento di ribellione a Mefistofele, abbatte il grande schermo sul quale veniva proiettato il distopico progetto satanico.

L'unico dispiacere delle ripresa video è che, a differenza di quanto potemmo ammirare in teatro, manca la presentazione di ciò che si saremmo trovati innanzi al quadro scenico successivo. Purtroppo le didascalie erano in tedesco ed è comprensibile che siano state cassate nel DVD, rivolto a un pubblico internazionale.

Nel corso del primo atto, nulla di quanto indicato nel libretto viene disatteso nel suo significato: non bisogna aspettarsi frati questuanti che celano sotto il sajo corna rosse, zampe di capra, etc... Quell'immagine del demonio sarebbe ormai inflazionata e non avrebbe più l'effetto desiderato, poiché la percezione cognitiva d'un messaggio resta eguale se non muta il suo intendimento e il suo percorso. L'immagine, l'etichetta non ha alcuna valenza innanzi a una pluralità di soggettività caratterizzata da una forma di apprendimento differente. La nozione contenuta nel testo è fissa, è l'interpretazione che deve sapersi evolvere. Anche in questo la regia di Schwab risulta fedele al testo: l'arte e la vita producono icone, ma per devono aver il coraggio dell'iconoclastia per non morire.

Anche la festa di Pasqua è vista in chiave contemporanea: è ovvio, perché se ne deve rendere l'atmosfera e se fosse stata rappresentata secondo i canoni ottusamente conservatori che imperversano, sarebbe stata solo un'esposizione da museo delle cere, massimo tradimento all'intelletto innovativo di Arrigo Boito, uomo proiettato verso il futuro e verso nuove forme espressive, fedele alle strutture, ma irriverente della forma.

Splendida la scena del giardino, con la viscida seduzione di Faust ai danni di Margherita. Qui Boito è al solito geniale nel saper riassumere, grazie al suo ricamar di versi, tutte le vicende familiari e dell'animo pio e timido della fanciulla. Un amore promesso come etereo, ma che vuole disilludere Margherita fino a portarla alla perdizione e che si contrappone a Mefistofele (il demonio) e al suo esplicito erotismo esclusivamente carnale nell'appropinquarsi a Marta. L'emotività del quartetto si conclude con uno splendido ritmo sincopato, che si sovrappone, non a caso, alla perdita di coscienza (in questo caso di volontà) di Margherita. Qui comincia l'incubo e il capolavoro dell'edizione della Bayerische Staatsoper. Il Sabba Romantico di Boito, la Walpurgisnacht di Goethe.

Assieme a Mefistofele appare dal fondo la demoniaca schiera dei borghesi azzimati da festa, che incitano Faust allo stupro di Margherita, agitando ritmicamente fiaccole simboliche d'un autentico Sabba satanico, si prostrano deferenti a Mefistofele, e questi ribadisce il suo disegno distopico. Vuole porre fine alla ciclicità, interrompere il percorso del pensiero e allora, attorniato dalle convulsioni di gestanti, come a breve sarà Margherita, mostra ai suoi accoliti il sanguinante feto e uccide il futuro dell'umanità gettandone la prole in un bidone per le immondizie. Un'immagine che potrebbe rammentare quella degli ufficiali delle S.S., compiaciuti nello sventrare gravide donne ebree, per poi dilettarsi nel prendere a colpi di fucile i futuro frutto del seno materno.

L'entusiasmo di un'umanità priva di senno, orfana del ragionamento, e avversa verso il futuro si concretizza che si esalta nei geniali versi “Riddiamo!Riddiamo!\Che il mondo è caduto!\Riddiamo! Riddiamo!\Che il mondo è perduto!”, sottolineando la gioiosità per la distruzione. I piani si scompongono e si perde la percezione degli spazi e dei volumi. Lo stupore di Faust è preludio a una seconda fuga ancora più violenta, ove il verso sdrucciolo si alterna a improvvise parole tronche, in perfetta sovrapposizione con l'accentazione musicale, provocando nevrosi e incontenibili esaltazioni orgasmiche nel pubblico che nella sovrapposizione del libretto, della musica e dell'impianto visivo scatena le proprie endorfine, innanzi al genio di Boito. Ottima anche la ripresa video, che sa cogliere la pienezza del palco e rimembrare lo splendore di quanto si vide in sala.

Ormai il crescendo emotivo è inarrestabile e gi ultimi due atti altro non sono che il trionfo della donna, rappresentata da Margherita (il dolore reale) e Elena di Troia (il sogno ideale).

Nella scena delle carceri, Margherita è detenuta per l'infanticidio che la differenzia da Medea solo pel fatto che ella non ha voluto vendicarsi Faust, quale emulo di Giàsone, ma ha voluto punire per se stessa. Completamente folle per il delitto si aggira in una cella fatta solo di fasci luminosi e nastri di contenimento. È l'unico personaggio che si rende conto del delitto commesso e nel suo delirio se ne domanda il perché (sulla tomba del bimbo campeggia, infatti, la scritta “Warum?”). L'uomo necessità di una guida, che sia utopia o distopia, la donna, invece, ne comprende la simbiosi reale. Margherita alterna il suo umore, pensando ai delitti che ha commesso contro se stessa, contro la sua progenie e contro la sua famiglia. La scena torna simile (secondo la vaneggiante descrizione della giovane) a quella del giardino e Schwab riporta Faust e Margherita nella stessa posizione che la fece cedere la prima volta, verso una fuga che sa di infinito “Lontano,lontano,lontano,\ Sui flutti d'un ampio ocèano” e sogna “La fuga dei liberi amanti speranti,\Migranti, raggianti”. La concezione della donna, creatrice del mondo, come Gea madre terra, vien fuori, tuttavia, nella maledizione che Margherita pronunzia nei confronti di Enrico (il nome di Faust), prima di sprofondare. Così Schwab e Boito rispettano Goethe: il sacrificio e il pentimento non cancellano il delitto e la colpa. Essa va compresa e accettata, ma resta tale. Non è la Marguerite di Gounod che si riscatta flagellando e uccidendo se stessa, secondo il fallace, maschilista e vilmente sessista conformismo dell'Europa centro-occidentale dell'epoca. Margherita non si salva, ma comprende. È una donna finita e sconfitta.

Il crescendo emotivo che ha portato il dottor Faust a provocare dolore e distruzione, esplodono nel suo “Ah, non fossi mai nato”. Margherita non spera nel perdono, Faust, sì, ma non lo ottiene. Un climax ascendente di choc violentissimi lo porteranno al quarto atto alla ricerca di quello che fu per lui l'ideale della sua gioventù, una gioventù dimenticata, fatta di otium litteratum. È tempo di un altro sabba, il Sabba Classico, la Klassische Walpurgisnacht di Goethe.

Vecchio e stanco passa gli ultimi anni in una residenza sanitario-assistenziale (sempre secondo la lettura di Schwab), dove dalla làtebra del suo animo emerge prepotente il sogno ideale di un tempo che fu. È l'apoteosi, l'ideal sogno di Faust, l'incontro con Elena di Troia, un'Elena euripidea, non il personaggio ambiguo che ci raccontò Seneca. Euripide e la classicità conducono Boito alla scrittura di un trimetro giambico, capace di eguagliare quello dei massimi lirici greci. Lo spostamento sulla terzultima sillaba all'orecchio non genera più semplici parole dall'accentazione sdrucciola, emerge lo splendore di una proparossitona, ma l'attesa non porta a una tronca; sebbene manchi il fiato nell'aspettare il vero oggetto del sogno di Faust, liberato dal violento trauma della sua anima: il nome Elèna, Elèna. La struttura è quella della tragedia greca: il coro, la corifea, non manca nulla, è tutto ciò che stava celato nel sogno di Faust, il desiderio di tornare a ciò che era e distruggere il dolore reale.

Come Margherita lo capisce, ma solo nell'Epilogo quando comprende, trova la soluzione, la soluzione definitiva, la fine e la fine è la morte. La dipartita del pensiero interpretativo sarebbe l'ultimo atto dell'umanità. Non è un caso, se ci pensiamo bene, che si decreti il decesso di una persona solamente al sopraggiungere della morte cerebrale. La comprensione di tutto ciò, la domanda di una salvezza che non può essere (questo a differenza di Margherita, che è consapevole della sua fine) conducono Faust alla preghiera di arrestare il suo istante ideale quanto irreale.

Goethe fece dire al suo Faust: “Zum Augenblicke dürft ich sagen:\Verveile doch, du bist so schön\Es kann die Spur von meinen Erdetagen\Nicht in Äonen untergehn.\Im Vorgefühl von solchem hohen Glück\Genieß' ich jetzt den höchsten Augenblick.” Boito lo traduce quasi letteralmente nel significato, ma con una didascalia eblematica: “Sacro attimo fuggente, \Arrestati, sei bello! \A me l'eternità!”[ muore ].

Qui a Monaco le luci dal fondo della scena divengono accecanti, Faust muore aggrappato all'arpa che accompagnava i versi del Sabba Romantico ed è finito, quanto Margherita. Mefistofele ha vinto, ma non può fermare il coro che avanza, egli cerca di arrestarlo spezzando un disco preso da un grammofono; azione che, a suo avviso, dovrebbe far cessare il canto della vita che avanza, ciclica come la spira, come la ridda. Le parole delle falangi celesti (in realtà l'umanità), invocate da Faust “rapito nell'estasi della visione”, sembrano decretare la sconfitta di un uomo che perde innanzi alla brama di un'utopia, ma nemmeno la distopia ha avuto la meglio. Abbiamo perso tutti contro Mefistofele, ma siamo vivi: questo è il messaggio, che a mio personale parere, passa attraverso il Mefistofele di Boito.

La registrazione rende alla perfezione le voci e conferma le impressioni avute lo scorso ottobre: René Pape è un Mefistofele ideale, preciso vocalmente e dallo strabordante carisma scenico, anche in questo DVD. Scenicamente il miglior interprete del ruolo attualmente immaginabile. Bravissimo anche Joseph Calleja nella difficile parte di Faust. Dal vivo qualche suono nel registro acuto ci era parso eccessivamente fisso, mentre in questa registrazione, e anche nelle recita estiva, non si è potuta rilevare alcuna menda particolare, anzi, ha fatto piacere notare la bella partecipazione espressiva.

Eccellente per intensità di fraseggio, resa attoriale e immedesimazione del ruolo, è un'ottima Kristine Opolais, che ben figura nella scena del giardino, ma sale letteralmente in cattedra per la drammaticità della scena delle carceri. Eccellente anche il resto del cast con la bravissima Elena di Karine Babajanyan, la Marta di Heike Grötzinger, il Wagner di Andrea Borghini, la Pantalis di Rachael Wilson e il Nèreo di Joshua Owen Mills.

Strepitoso, come al solito, il coro della Bayerische Staatsoper (sia per gli adulti sia per le voci bianche), per i quali non si potranno mai spendere sufficienti elogi.

Miglior elemento assoluto della produzione resta il direttore d'orchestra Omer Meir Wellber, che ci aveva rivelato in un'intervista dello scorso dicembre [leggi] di amare profondamente la partitura in cui, a detta dello stesso maestro, Arrigo Boito fu l'unico a saper disvelare tutti i significati e la grandezza del messaggio contenuto nel testo. Non solo la perizia tecnica risulta inattaccabile, ma anche la lettura stilistica, la linea musicale, la profondità interpretativa sono di altissimo livello. Se eccellenti appaiono il Prologo e il primo atto, il direttore israeliano si è spinto ancora oltre per il seguito del dramma. Splendida la scena del giardino, con la dolcezza e la tensione emotiva che riverberano dalla buca al palcoscenico, come è stupefacente è il Sabba Classico, in cui il maestro palesa la sua piena comprensione delle intenzioni di Arrigo Boito esaltando le strutture comunicative del genio (chiamarlo compositore sarebbe riduttivo), grazie a scelte agogiche e dinamiche che dimostrano un'intelligenza musicale, letteraria, scientifica e artistica al pari di quella di colui che vergò le note della partitura. Il suo punto più alto è, tuttavia, un entusiasmante Sabba Classico, nel quale ritroviamo tutto l'ideale onirico  richiesto. Non da meno l'intensità liturgica dell'Epilogo. Classico e religioso: d'altra parte Ladislao Mittner, nei suoi studi di letteratura tedesca, ebbe modo di ricordare come le guide di Goethe furono Omero e la Bibbia.

Le scene erano di Piero Vinciguerra, i costumi di Renée Listerdal, le luci di Michael Bauer e la coreografia di Stefano Giannetti. Tutte le maestranze impiegate sono quelle della Bayerische Staatsoper. La registrazione è avvenuta durante le rappresentazioni del 6 e dell'11 novembre 2015. La regia video è di Tiziano Mancini.

Una nota di merito particolare va all'intendente della Bayerische Staatsoper Nikolaus Bachler e un ringraziamento particolare all'ufficio stampa dello stesso teatro per la precisione e la professionalità dimostrata con l'invio di questo DVD e in molte altre occasioni.