L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Tradizione contemporanea

 di Roberta Pedrotti

V. Bellini

Norma

Rodvanovsky, Gubanova, Kunde, Acedo

direttore Renato Palumbo

regia Kevin Newbury

Orchstra e coro del Gran Teatre de Liceu de Barcelona

Barcelona, febbraio 2015

2 DVD Cmajor 737208, 2016

Curiosi gli effetti della comunicazione moderna, che ha sparso fama, dalla sua andata in scena fino alle note di copertina del DVD, che questa Norma fosse visivamente ispirata alla serie tv Il trono di spade. Sicuramente un richiamo mediatico à la page può essere un mezzo ulteriore per attirare l’occasione e così sul cofanetto si fa campeggiare anche una foto in cui le chiome della protagonista (incontestabilmente fulve e raccolte in trecce nel video) appaiono argentee come quelle di Daenerys Targaryen, una delle figure di spicco della saga fantasy. Senza nutrire particolari pregiudizi verso qualsivoglia riferimento iconografico, nel constatare che la citazione era in realtà più che vaga abbiamo francamente tirato un sospiro di sollievo, perché di ammiccamenti a sproposito ne avevamo visti fin troppi (quanti allestimenti dell’Attila verdiano si son contati con il re degli Unni assiso sull'ormai celeberrimo trono metallico?). Nei fatti questo firmato da Kevin Newbury è di per sé, semplicemente, uno spettacolo chiaro, lineare, ben curato, magari senza sorprese, ma a tutti gli effetti godibile. La recitazione è tradizionale, ma non trasandata, l’ambientazione – fatte salve le divise atemporali dei romani – richiama una generica antichità di fantasia, con tocchi barbarici e altomedievali.

Si aggiorna, insomma, un impianto tradizionale con un immaginario visivo che risulta senz’altro affine alla sensibilità contemporanea nel ritrarre druidi e guerrieri nordici. Parimenti si aggiornano moduli espressivi e gestuali senza tentare sperimentazioni o particolari introsprezioni. La regia video di Jean-Pierre Loisil è lineare ma, nel contempo, giostra bene le sue carte nel rivolgersi a un pubblico televisivamente smaliziato.

Questo senso di tradizione rinnovata e aggiornata si avverte ben chiaro nelle voci, che sono robuste, di tempra più verdiana che belcantista, e fra queste Gregory Kunde si pone come pietra del paragone, lui che sfoggia ormai una cavata avvezza a Otello, Don Alvaro e Radames, ma che ha nel DNA Mozart e Rossini ed è un’autorità in fatto di stile e variazioni. Così alla drammaticità che, comunque, Pollione esige e all’equilibrio con le voci femminili si unisce una consapevolezza rara del linguaggio e del retaggio belliniano, anche a onta di qualche innegabile ruga nella voce e nel timbro.

Norma e Adalgisa son soprano e mezzoprano, secondo consuetudine e non secondo filologia, ma poiché le voci, per timbro e spessore, si equilibrano bene, le tessiture non pongono particolari problemi e la vergine alunna di Ekaterina Gubanova risulta sicura, intensa ma non matronale, non v’è di che preoccuparsi troppo. L’esperienza nel ruolo eponimo certo giova a Sondra Radvanovsky, dalla quale ricordavamo d’aver udito emissioni più aspre e un vibrato più accentuato, mentre qui fa meglio valere la gestione di fiati e filati, la forza del suo strumento, una coloratura sufficiente quand’anche non abbacinante (ma quante volte abbiamo inteso una Norma d’estrazione più spinta risplendere in “Ah bello a me ritorna”?), una caratura drammatica adeguatamente temperata da un sobrio gusto moderno. Anche Raymond Aceto è un Oroveso convincente, solido e fiero e ben si comportano Ana Puche, Clotilde, e Francisco Vas, Flavio, così come il coro e tutti i complessi del Liceu.

A reggere le fila di questa Norma nostra contemporanea quasi orgogliosamente erede di storiche e più drammatiche chiavi di lettura, fra tante intepretazioni più liriche e alleggerite, troviamo Renato Palumbo e torniamo a domandarci come mai, fra tanti Verdi, Puccini e dintorni, non lo si sia visto più spesso impegnato in questo repertorio belliniano e donizettiano che pare essergli tanto congeniale. Lascia spazio ai cantanti allargando i tempi quando le signore potrebbero trovare qualche impaccio nella coloratura più ardita, sostenendo Kunde nelle variazioni e nei passi che più potrebbero affaticarlo, ma non dà mai l’impressione di stringere e allargare senza una visione d’insieme omogenea, prono al genio del singolo cantante. Anzi, l’esito complessivo risulta ben coeso, privo di clangori e frenesie così come di esangui mollezze: è solenne, vigoroso, lirico sempre come si conviene. Il gioco assai teatrale delle dinamiche, l’equilibrio fra voci e orchestra, la cura del dettaglio metrico sembrerebbero far quadrare nel migliore dei modi il cerchio di una tradizione rinnovata con moderna sensibilità e consapevolezza. Almeno, così sarebbe la tendenza confortante all’integralità fosse conservata fino alla fine, fino alla stretta di “In mia man alfin tu sei” e alle ultime battute del coro prima della coda conclusiva dell’opera. Colpetti di forbice davvero esigui che si sarebbero potuti risparmiare ribadendo la forza delle forme originali del lessico drammaturgico musicale belcantista. Il rinnovamento della tradizione deve imporsi anche in questa consapevolezza, anche e soprattutto quando si vuole mantenere il legame con quanto di pur buono e incisivo viene dall’età dei tagli indiscriminati.

Ciò detto, una Norma complessivamente assai buona, ben diretta e ben cantata, visivamente efficace senz’essere rivoluzionaria, ben ripresa in un DVD realizzato con cura e corredato da sottotitoli in otto lingue, dall’italiano (finalmente non si sdegna l’idioma di Bellini e Romani) a inglese, francese, catalano, spagnolo, coreano, giapponese.

 

 


 

 

 
 
 

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