Beethoven, Bruckner, Benjamin: tre B fra due secoli

di Roberta Pedrotti

Per la chiusura della stagione sinfonica 2013 del teatro Comunale di Bologna si alternano, con la bacchetta di Lothar Zagrosek, tradizione e contemporaneità, dal celeberrimo Concerto per violino e orchestra in Re maggiore di Beethoven, solista Dmitry Sitkovesky, al maestoso Te Deum di Bruckner, al cesello delle Dances Figures di Benjamin, che fra pochi mesi compiranno i dieci anni dalla composizione.

BOLOGNA, 19 dicembre 2013 - Negli ultimi anni di vita Bruckner ebbe a dire che «Wenn mich der liebe Gott einst zu sich ruft und fragt: “Wo hast du die Talente, die ich dir gegeben habe?”, dann halte ich ihm die Notenrolle mit meinem Te Deum hin, und er wird mir ein gnädiger Richter sein» («Quando Dio mi chiamerà un giorno e mi chiederà : che cosa hai fatto coi talenti che ti ho dato? Ebbene, allora io alzerò davanti a Lui la partitura del mio Te Deum ed Egli certo mi giudicherà benignamente»). Francamente mi piace pensare che un eventuale Eterno, già avvezzo a dissimulare o affermare virtuosisticamente in alternanza la propria esistenza, abbia più spirito e ironia, e preferisca la dedica della rossiniana Petite messe solennelle: «Bon Dieu; la voilà terminée, cette pauvre petite messe. Est-ce bien de la musique sacrée que je viens de faire, ou bien de la sacrée musique? J'étais né pour l'opera buffa, tu le sais bien! Peu de science, un peu de cœur, tout est là. Sois donc béni et accorde-moi le Paradis» («Buon Dio; eccola terminata, questa povera piccola messa. È della musica sacra che ho composto, o piuttosto della benedetta musica? Ero nato per l'opera buffa, lo sai bene! Un po' di scienza, un po' di cuore, ecco tutto. Sii dunque benedetto e accordami il Paradiso»).

Di scienza, invero, il dottissimo e severo organista tedesco ne dimostra sempre moltissima, è nella sua poetica l'espressione del sublime, del maestoso, del trascendente. Il contrappunto e la dottrina sono in Bruckner la lingua solenne e rigogliosa della fede e dell'arte; il rischio è però quello di una grandiosità e di uno sfarzoso rigore irrigidito nel suo stesso serissimo principio formale. Certo, per sortire l'effetto migliore il Te Deum benificerebbe di un organico corale e orchestrale più ampio di quelli bolognesi, e di un'acustica più favorevole, analitica e ricca, di quella dell'Auditorium Manzoni. Come chiusura dell'ultimo concerto della stagione sinfonica del Teatro Comunale, alle soglie delle festività natalizie, era però ben plausibile e giustificato un brano grandioso che mettesse in primo piano i complessi del teatro e desse loro occasione di piena soddisfazione. La direzione di Lothar Zagrosek si è poi confermata precisa ed efficace, come già nel resto della serata, e il quartetto solistico ha convinto, con il soprano Patrizia Bicciré, il mezzo Cristina Melis, il tenore Paolo Antognetti e il basso David Steffens, in sostituzione dell'indisposto Alexey Yakimov.

Nella prima parte della serata, come spesso avviene nella programmazione – specie concertistica – del Comunale, si sono accostate novità e tradizione, con le Dance Figures< (2004, prima assoluta in concerto nel 2006, con coreografie nel 2007) di George Benjamin (1960) e il Concerto per violino e orchestra in Re Maggiore op. 61(1806) di Beethoven. Centonovanta anni separano la nascita del titano di Bonn da quella di uno dei più rappresentativi compositori britannici contemporanei, due secoli il debutto dei brani presentati.

In apertura abbiamo Benjamin, venti minuti concepiti per la danza, sulla scorta dell'esperienza di Stravinskij, ma anche della lezione di Messiaen, non a caso maestro dell'autore londinese. Si tratta di una serie di piccoli pezzi, concatenati senza soluzione di continuità o ben distinti, tutti caratterizzati con raffinata semplicità nei loro tratti distintivi, timbrici e d'orchestrazione, ritmici, agogici o strutturali. Un esercizio naturalmente funzionale al fine della coreografia, ma anche di meditato virtuosismo compositivo, di esplorazione, in spazi minutissimi, delle variabili e delle possibilità di una scrittura cameristica nei singoli pesi e accostamenti, ma con un organico ampio quanto variegato. Zagrosek si trova perfettamente a suo agio in questo repertorio e distilla la partitura di Benjamin con cura, equilibrio e appropriati, geometrici giochi di trasparenze.

L'elaborazione del Concerto beethoveniano non è meno avanzata, in proporzione, e rappresenta un traguardo importante nell'elaborazione formale del genere e della letteratura violinistica. Il violinista Dmitry Sitkovetsky lo affronta con fiero cipiglio, scambiando con i colleghi in orchestra e con il sempre lucido ed equilibrato Zagrosek sul podio occhiate che lasciano intravedere lo spirito scalpitante del solista che recentemente è passato anche alla bacchetta. Della sua prova impressiona soprattutto la padronanza nelle sfumature dinamiche, mentre la personalità d'interprete, la cantabilità risultano meno avvincenti. L'accoglienza è calorosa, soprattutto dopo la chiusura della prima parte con Beethoven: come sempre l'interessante proposta contemporanea è accolta con entusiasmo da una parte del pubblico, con un po' di disorientamento da altri, mentre Bruckner ottiene un apprezzamento d'affetto e stima, ma non accende gli animi in applausi particolarmente prolungati.