L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Contrasti russi

 di Anna Costalonga

 

Chailly dirige Šostakovič e Rachmaninov in un programma avvincente e variegato alla Gewandhaus, con la partecipazione di Vadim Gluzman, violino solista.

LIPSIA, 14 gennaio 2016 - In una sala piena si è svolto giovedì sera il concerto di Chailly con un programma tutto russo: Šostakovič e Rachmaninov.

Il primo brano in programma è stato la Suite dagli Interludi della Lady Macbeth di Mzensk, nei quali l’orchestra della Gewandhaus ha colpito per la potenza e la ricchezza del suono, sicuramente grazie anche allo stile rapsodico dell’opera, atto a farne risaltare le innumerevoli potenzialità timbriche.

L’ Allegro con brio è diventato aggressivo e tagliente sotto la direzione di Chailly, che ne ha messo in luce la ricchezza fantastica, tragica e circense inscenando - è il caso di dirlo, visto la qualità teatrale di questa musica - contrasti esacerbati fra un volume sonoro spinto degli ottoni e delle percussioni e i frammenti di un lirismo nostalgico e melancolico interpretati dagli archi e dai legni.

Alla pirotecnia della Suite è seguito il Secondo concerto per violino sempre di Šostakovič, solista Vadim Gluzman: un’opera il cui registro di fondo è introspettivo, malinconico, dove i fuochi d’artificio sono da ricercare piuttosto nel virtuosismo richiesto al solista. Un virtuosismo se posso ripetermi, introspettivo: i tratti melodici sono frantumati, relegati per lo più come brevi incisi agli ottoni - impossibile non riconoscere l’ accenno al famoso tema della Settima sinfonia, nell’ultimo movimento.

Vadim Gluzman si è distinto per un fraseggio ricco, carico di lirismo dolente, soprattutto nel secondo movimento, l’Adagio. Qui ogni linea melodica è interrotta ed espansa, allungata, modulata fino a renderla irriconoscibile - quasi una voce ossessiva che non riesca a risolversi mai completamente in una linea melodica compiuta e, se questo avviene, è solo per sprazzi fugaci.

Il violinista israeliano con il suo incredibile Stradivari “Ex-Leopold-Auer” ha dato un’interpretazione consistente, senza mai alcun calo di tensione; è riuscito a magnetizzare l’attenzione del pubblico con un pezzo di non facile ascolto e esecuzione. L’orchestra della Gewandhaus è una interprete storica delle opere di Šostakovič, e lo ha ribadito anche in questo caso - nella ricchezza dei colori orchestrali, nell’ottima prova solistica dei legni e degli ottoni e nella resa potente ma calibrata delle percussioni.

Dopo la pausa - in cui mi è capitato quasi di scontrarmi con Gluzman nel foyer, come un qualsiasi spettatore (cosa rara per i famosi solisti che suonano alla Gewandhaus) - la serata è ripresa con le Danze Sinfoniche di Rachmaninov. Accanto alle sonorità introspettive, ossessive, dolenti del Concerto per violino non si poteva pensare a un brano più contrastante, per il suo carattere rapsodico e l'insieme di diversi temi popolari, molto orecchiabili, cantabili, appunto danzabili, come da titolo: perfino Chailly, direttore energico ma sempre composto, è sembrato entusiasmarsi quasi mimando una piccola danza, all’inizio del primo movimento, il cui incipit dirompente è stato smussato dal direttore, che ha preferito dare maggior risalto al crescendo sonoro del tema iniziale: è riuscito, cioè, a esprimere potenza senza essere tagliente.

Queste danze sinfoniche in realtà sono state un grande show dell’orchestra e della capacità solistica dei suoi musicisti: non si poteva pensare a un brano più eclettico, per quantità di strumenti diversi - due arpe, un pianoforte a coda, un sassofono contralto fra gli altri- che potesse mettere in bella mostra del virtuosismo dei singoli orchestrali. Notevole è stato il breve Trio fra sassofono, flauto e oboi, a ennesima dimostrazione della qualità dei settore dei legni e degli ottoni dell’orchestra di Lipsia. Come notevole è stato il breve solo del primo violino, lo strepitoso Sebastian Breuninger, già ex primo violino dei Berliner Philarmoniker.

Momenti diversi, registri e atmosfere differenti; un fil rouge, se vogliamo, nella rapsodia come oscillazione fra stati d’animi distinti e contrastanti. Alla fine, dopo il volume esacerbato da far quasi dolere le orecchie nel finale delle Danze Sinfoniche, è stato inevitabile pensare che la scelta di quest’opera sinfonica di Rachmaninov sia stata motivata per lenire gli animi dalla tragicità circense e nera, sempre straziante di Šostakovič - il gioiello della serata, a mio avviso, è stato invece proprio il Secondo concerto per violino in questo senso - con una sonorità gioiosa e dirompente, nel finale perfino troppo esuberantemente voluminosa.


 

 

 
 
 

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