L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La conquista della Gioia

 di Roberta Pedrotti

Inaugurazione di stagione con ritorno nella sala del Bibiena e nuova, smagliante, camera acustica per la Sinfonica del Comunale in concomitanza con l'apertura delle celebrazioni per i novecento anni della Città di Bologna. In programma, per due serate a teatro tutto esaurito, la Nona sinfonia di Beethoven nella lettura di Michele Mariotti e con le voci di Carmela Remigio, Veronica Simeoni, Michael Schade e Michele Pertusi.

BOLOGNA, 7 febbraio 2016 - Il colpo d'occhio è di notevole effetto, uno scrigno sonoro ligneo nel cuore del ferro di cavallo del Bibiena, e il colpo d'orecchio lo è ancor più. Non c'è che dire: la nuova camera acustica del Teatro Comunale di Bologna, offerta da Alfa Wassermann e realizzata da SuonoVivo, apporta un contributo di sostanza, al di là dell'apparenza senza dubbio piacevole. Abituati alla sonorità dell'auditorium Manzoni, il ritorno nella sede storica della stagione sinfonica arricchita dalla nuova, agile struttura ci stupisce e un'orchestra che credevamo d'aver imparato a conoscere bene nella sua personalità timbrica si mostra arricchita di un nuovo corpo, di una nuova presenza soprattutto nelle frequenze gravi, pastose come mai avevamo inteso prima in concerto. Il suono più raccolto e calibrato intorno agli stessi strumentisti sembra favorire una maggior coesione, una miglior concentrazione, anche se è naturale che, dopo la prima esperienza, le nuove possibilità della sala siano ancora tutte da esplorare, che qualche equilibrio possa essere perfezionato, o, meglio, rifinito alla prova anche di diversi repertori e organici. A fronte di tale conquistata morbidezza e di questo nuovo calore, per esempio, si potranno ridosare i rapporti fra le sezioni, lasciando emergere un po' più i legni: l'impatto è tanto promettente che ci si sente di vagheggiare una continua scoperta sonora dopo il debutto.

Di certo, questo suono nuovo favorisce l'emergere di un volto nuovo, sempre più maturo, di Michele Mariotti direttore sinfonico, al quale molti forse associano ancora volentieri trasparenze belcantistiche. Certo, la confidenza del direttore con il primo Ottocento è fuori discussione, ma proprio per questo può permettersi, in realtà, una visione più cupa, solenne e drammatica della monumentale partitura. È una Nona compatta, molto curata nei dettagli, negli incisi strumentali (e se il corno ha un calo nel secondo movimento ha modo di rifarsi nel terzo), da cui traspare una suggestione dolorosa e meditativa, giocata nei rapporti fra le sezioni in un contegno pensoso, che trattiene senza inaridirlo il lirismo del terzo movimento, che contempla senza farsi travolgere il dramma ineluttabile dei primi due.

Il celeberrimo tema corale, così, non appare come l'abbacinante, commuovente raggio di luce che, per esempio, faceva risplendere Klemperer, ma come una conquista di volontà, un processo travagliato, come se si celebrasse l'anelito alla gioia dell'abbraccio fraterno di tutta l'umanità, più che lo stesso gioioso abbraccio. Ciò non significa che il cammino non possa conoscere momenti di slancio ottimistico, come nella scintillante marcia che accompagna il solo del tenore, ma quella che Mariotti sembra voler disegnare, e che dopo questo debutto potrà approfondire sempre più, è una Nona interlocutoria, non trionfale. Una Nona dei giorni nostri. A questo scopo risultano ideali voci avvezze al belcanto, a lavorar di fino sul repertorio effettivamente contemporaneo o di poco precedente a Beethoven. Su tutti Michele Pertusi, che, in qualunque lingua canti, ammanisce la consueta lezione di nobile incisività, di sovrana musicalità inattaccabile anche dalle più scabrose esigenze strumentali e declamatorie imposte dall'autore ai solisti. Da questo punto di vista le più maltrattate son certo le voci femminili, sollecitatissime in passaggi a massimo rischio e minima soddisfazione: Carmela Remigio e Veronica Simeoni hanno dalla loro un'innata e versatile eleganza musicale per fronteggiare le ingrate asperità della parte. Unico madrelingua in campo, Michael Schade avrà forse il timbro un po' più asciutto, ma si muove in ottima sintonia con i colleghi e contribuisce a un finale che, nella articolata ampiezza, Mariotti riesce a gestire e calibrare forte dell'esperienza con concertati e crescendo (ché il milieu musicale a cavallo fra XVIII e XIX secolo è comune e sarebbe stolto perseverare nell'indicare uno iato inesorabile stilistico, formale e qualitativo fra opera all'italiana e sinfonismo alla tedesca). Il coro, parimenti, risponde compatto e guadagna in morbidezza dalla nuova collocazione acustica.

Inevitabilmente il concerto si conclude in festa, doppia anzi tripla perché all'inaugurazione concomitante della stagione sinfonica e della camera acustica, con il ritorno dei concerti al Comunale, si unisce anche l'apertura dei festeggiamenti per i novecento anni del Comune di Bologna, la cui nascita ufficiale risale al diploma con cui il 15 maggio 1116 l'imperatore Enrico V riconobbe l'autonomia dei concives bolognesi. Celebrazioni convergenti e tutte nuovi possibili punti di partenza,  stimoli e sfide più che traguardi e, dunque, ben degne di un Inno alla gioia che non trionfi, semplicemente, ma rappresenti l'aspirazione a un mondo migliore nei drammi del quotidiano.


 

 

 
 
 

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