Luciana Serra

Rejoice!

 di Emanuele Dominioni

Pur indisposta, Luciana Serra non rinuncia all'atteso appuntamento scaligero e, se talora è costretta a giocare in difesa, non manca di offrire fulgidi esempi di un'arte che è ormai parte della storia del belcanto.

Milano, 2 maggio 2016 - Grande era l'aspettativa nei confronti di Luciana Serra, che tornava al Teatro alla Scala come solista dopo quasi vent'anni di assenza. Da solista dicevamo, in quanto invece è da molto tempo che la carriera di cantante si è affiancata a quella di insegnante e proprio l'accademia scaligera, culla di molti talenti in erba, può fregiarsi del suo nome fra i docenti. La presenza in sala di molti degli studenti dell'Accademia, amici e collaboratori della signora Serra era avvertibile e udibile dal calore umano e dalle molte grida di tributo che le sono state indirizzate durante la serata. Ancor maggiore è stato l'affetto mostrato della sala in generale quando ci viene comunicato dal sovrintende Pereira dell'indisposizione della diva, che poco dopo fa la sua apparizione in un elegantissimo abito verde tempestato di brillanti, accompagnata dal fido Vincenzo Scalera.

Il programma scelto snodandosi fra autori italiani e francesi rendeva omaggio alla grande tradizione del belcanto da camera ottocentesco fino a Tosti.

Fin dalle prime note ci rendiamo conto della serata non facile: la fonazione è difficoltosa, viene costantemente sorvegliata soprattutto nel registro medio grave e in corrispondenza delle vocali più aperte. È doveroso premettere che ciò ha purtroppo inficiato il livello generale della performance, per cui l'artista si è trovata a fare i conti (o meglio a lottare) contro un'emissione messa costantemente a repentaglio dal malanno di stagione. Voci provenienti dagli addetti ai lavori raccontano di un'indisposizione costante delle ultime settimane, e di come nonostante questo la Serra abbia voluto onorare l'impegno preso col teatro. Non ci sentiamo del tutto concordi con questa decisione, non per sollevare dubbi circa professionalità e la grande classe messi in mostra durante la serata, ma pensiamo piuttosto che avrebbe giovato anche a lei in primis rimandare a un momento meno difficile. Ciò detto, tecnica, qualità di emissione e fiati solo ancora lì a fare scuola e rappresentano un paradigma per tutti coloro i quali si accostano allo studio del canto. Riduttivo in questa sede ricordare come la voce della Serra si sia sempre distinta per il rigore esecutivo frutto della grande scuola belcantista, e come soprattutto nel repertorio di coloratura ella fosse regina incontrastata.

Il concerto si apre con La corrispondenza amorosa tratta da Matinée musicale seguita da A mezzanotte (da Nuits d'été a Posillipo), di Donizetti. I due brani scorrono cauti e controllati, ma la voce di un tempo è sempre la stessa per intonazione e dizione perfette. Col passaggio a Bellini, la qualità del legato si fa più preziosa, nonostante le prime defaillance vocali dovute all'indisposizione. Vaga luna e La ricordanza in particolare, ci rimandano con la memoria alle grandi performance teatrali che la diva ci ha regalato nelle oper del catanese.

Più di carattere l'esecuzione dei brani rossiniani tratti dal ciclo La regata veneziana, in cui lo spirito giocoso del testo in dialetto veneto ha stimolato l'interprete, regalandoci delle perle di umoristica liricità.

Nella seconda parte del concerto, dedicata a Tosti e al mondo cameristico francese, l'atmosfera musicale si fa più intima e sfumata. La Serra, la cui qualità timbrica non è mai statala principale vincente, cerca, tramite fraseggio e una continua varietà dinamica, di scavare nel testo, sebbene la bellezza tecnica e formale dell'esecuzione non corrisponda a un'interpretazione altrettanto vibrante e sentita. Probabilmente il passaggio a questo mondo musicale, lontano per tipo di vocalità e temperamento alla diva, ha risentito in particolar modo in questa serata difficile.

Nonostante ciò, mediante la profusione di dinamiche sempre cangianti e l'assoluta maestria nel cantar piano che venga meno la tensione sapientemente creata, l'artista disegna un fraseggio fluido e aureo soprattutto in Si mes vers aivent des ailes di Hahn e in Après un rêve di Fauré. La caratura umoristica che aveva permeato i brani di Rossini ritorna nei tre sonetti di Stefano Donaudy, resi con perfezione di intenti e grande carisma.

Due sono i bis che la Serra ci regala. Il primo in particolare, pescando nel repertorio barocco, si pone come la migliore esecuzione della serata: con Rejoice greatly dal Messiah di Handel la diva non tradisce le attese del pubblico e ci fa ritornare alla memoria agli anni fulgidi della sua carriera. I passi di coloratura di cui ella è sovrana esecutrice scorrono cristallini e perfetti, con una tenuta di fiato ancora invidiabile. Sorge quindi spontanea la domanda: stanti le precarie condizioni di salute ma anche (e soprattutto), ciò che poteva arridere maggiormente alle caratteristiche vocali della Serra, perchè non puntare maggiormente su questo repertorio? Il quesito rimane aperto, soprattutto in relazione al grande successo che questo brano ha riscosso rispetto agli altri.

La cantante si congeda offrendo un'ultima perla: la Cancion de cuna para dormir a un negrito, ninna nanna di Montsalvage. Cantata a fior di labbro, appoggiandosi al pianoforte mirabilmente suonato da un Vincenzo Scalera, magistrale accompagnatore.