il pianista Seung-Jin Cho

Il trionfo di Cho

 di Alberto Spano

Conferma la classe superiore del concertista destinato ai più alti traguardi la seconda apparizione italiana di Seong-Jin Cho, primo coreano, e secondo orientale in assoluto, a conquistare il primo premio al concorso Chopin di Varsavia. 

PARMA, 10 maggio 2016 – C'era un clima nazional-patriottico particolare l'altra sera al Teatro Regio di Parma, ma la patria era la Corea. Era la quinta tappa del bel ciclo “Piano Solo”, dopo i recital dei big Buchbinder, Sokolov e Lonquich, prima dell'outsider Bollani. C'era il ventiduenne Seong-Jin Cho, freschissimo vincitore - otto mesi prima - del Concorso Chopin di Varsavia: sua seconda apparizione in suolo italiano, quindi grande attesa. Teatro quasi esaurito da almeno due terzi di spettatori orientali: coreani per lo più (ma anche molti cinesi e giapponesi), giunti a Parma da più parti dell'Italia, per festeggiare l'impresa del loro piccolo-grande eroe nazionale, il primo coreano nella storia a vincere il massimo alloro a Varsavia, di certo il più importante e prestigioso concorso al mondo. Solo un cinese vi era riuscito sedici anni prima, Yundi Li, che oggi va per la maggiore, mai un giapponese (Mitsuko Uchida conquistò solo l'argento nel 1970). C'era da immaginarsi dunque un calore speciale, ma mai ci saremmo aspettati di vedere a Parma uno spettacolo di pubblico così. Mancava solo la bandiera con lo yin yang rosso-blu in sala. Il pubblico italiano-parmigiano, in netta minoranza, si sentiva quasi straniero. Colpiva addirittura la qualità dell'applauso, diverso dal solito applauso di cortesia del pubblico italiano: un applauso fin dall'inizio compatto, denso, scandito, con urletti continui.

Seong-Jin Cho è concertista nato: concentrazione e autocontrollo assoluti, tecnica formidabile e completa, musicalità bella, franca, concreta e naturale. Attacca il Rondò in la minore di Mozart e lo cesella con cura canoviana, bellissimo suono, non grande, ma penetrante. C'è continua ricerca di bel suono, di sonorità fragranti e come sospese, senza retorica e manierismo. La musica scorre con semplicità e direzione. Poi la Sonata n. 19 in do minore D 958 di Schubert, la terz'ultima delle famose tre ultime, quelle composte a pochi mesi dalla morte nel 1828, forse la più concreta e la più terrena. Bellissima lettura, matura, piena di illuminanti particolari agogici, scorrevole e piena del giusto pathos. Uno Schubert forse non ancora abbastanza arrovellato e risolto, ma certamente ben condotto e ben controllato, col magnifico Allegro conclusivo in forma di tarantella ottimamente realizzato.

Pienissimi voti, per un ragazzo di 22 anni nato in Corea, dalla natura musicale assoluta. Se però ancora qualche piccolo dubbio sul suo valore di concertista di classe internazionale qualcuno lo potesse ancora aver avuto, è poi stato nei 24 Preludi op. 28 di Chopin, sciorinati con straordinaria souplesse e dominio nella seconda parte che ogni possibile (o improbabile) dubbio si è dissolto come neve al sole. Cho li affronta col giusto suono, con raffinatissimi e calcolatissimi rubati, con una tecnica tanto scintillante e sicura da scomparire all'istante. C'è il necessario atletismo (il numero 16 “Presto con fuoco”, letteralmente fulminante) ma anche ricerche continue timbriche e armoniche, con improvvise illuminazioni, bagliori sonori, colori, colori e ancora colori. La paletta timbrica di Cho pare non conoscere limiti, e la tenuta formale, dal primo all'ultimo è semplicemente perfetta, con una crescita in termini di tensione drammaturgica abbastanza impressionante. Come impressionante è stato l'urlo di gioia e l'alzata in piedi come un sol uomo del pubblico coreano, plaudente, festeggiante e salutante con la mano, con vero orgoglio nazionale, il proprio eroe.

Dopo una straordinaria Campanella lisztiana offerta come bis, straordinaria perché per la prima volta suonata da un giovanissimo pianista con la grazia e l'eleganza d'altri tempi (il pensiero è subito andato alla famosa esecuzione di Nikita Magaloff anni '60 che la trasformava in una specie di iridescente pulviscolo sonoro), l'applauso s'è concretizzato in un sol grido collettivo di un popolo, e il groppo in gola è venuto naturale quando Cho ha attaccato un Warum? malinconico e distante (dai Phantasiestücke schumanniani), degno di un vero poeta del pianoforte. Prima di una Polacca “Eroica” di Chopin da manuale. Bravo Seong-Jin Cho: annotatevi il suo nome, è destinato a diventare un protagonista assoluto della musica mondiale, anche perché in parte già lo è.