L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Zhu Xiao-Mei in concerto a Bologna

Variazioni sul piano segreto

 di Roberta Pedrotti

Zhu Xiao Mei chiude con la Variazioni Goldberg la quarta edizione di pianofortissimo. Una lettura intensa, che trascende i normali canoni concertistici per giungere a una totale, tormentata identificazione con il capolavoro di Bach. La drammatica vicenda personale della pianista cinese diviene così non corollario dell'esibizione, bensì profonda radice poetica del suo mondo sonoro.

BOLOGNA, 7 luglio 2016 - Ecco come Bach può salvare una vita, può raccontare una vita e, con essa, la Storia. La vita della pianista Zhu Xiao Mei, invero, sembra un romanzo (e le sue memorie, difatti, sono un bestseller internazionale, di prossima pubblicazione anche in Italia), la sceneggiatura già pronta per un film, ma raccontarla semplicemente non vale l'esperienza di sentirla vivere attraverso le Variazioni Goldberg.

Nata a Shangaj da buona famiglia borghese nel 1949 rivela un precoce talento pianistico e già a otto anni tiene concerti, si esibisce in televisione, senonché, con la Rivoluzione Culturale, la sua propensione alla musica occidentale entra in sospetto e la ragazzina viene internata in un "campo di rieducazione" in Mongolia per dimenticare Bach. Lei non lo dimentica, ha trascritto dei preludi su lembi di carta igienica e si esercita su una tastiera disegnata su una tavoletta di legno. Grazie a Isaac Stern, in un momento di disgelo, riesce a emigrare negli Stati Uniti, dove può riprendere gli studi, benché anche l'impero del liberalismo le riservi amarezze, come la crudele proibizione – da parte della ricca famiglia presso cui lavorava come cameriera per mantenersi – di toccare lo splendido pianoforte di casa se non per spolverarlo. Grazie ad amici statunitensi ed europei, riesce tuttavia a completare gli studi interrotti, a incidere il suo primo disco, a intraprendere una carriera che la porterà anche a insegnare al Conservatorio di Parigi (lei che era riuscita a diplomarsi solo a trentasei anni!). Questi, rapidamente, i fatti che attirano i riflettori su Zhu Xiao Mei e, contemporaneamente, giustificano la sua ritrosia alle esibizioni pubbliche, la sua ricerca di ambienti intimi, la sua aspirazione a suonare nella penombra, magari protetta dalle mura del chiostro del cortile dell'Archiginnasio. Sembra che la pioggerellina giunta a mitigare l'umidità bolognese nel tardo pomeriggio l'abbia provvidenzialmente ascoltata, consigliando l'organizzazione a trasferire il pianoforte dal palco en plein air a un appartato, quanto suggestivo, angolino sotto il portico.

Lì dimostra cosa significhi vivere la musica, quasi identificarsi con una partitura e farne una toccante autobiografia pur senza sfiorare - anzi! - un narcisistico compiacimento. Lì dimostra che un concerto può non essere semplicemente un cimento tecnico e interpretativo, ma un'esperienza poetica in cui molte priorità sono messe in discussione.

Il tocco di Zhu Xiao Mei, innanzitutto, porta in sé l'esperienza degli studi interrotti e del pianoforte fantasma su cui poteva silenziosamente ripassare la posizione delle note ma non il peso fisico del dito sul tasto e la resistenza di questo. Potrebbe essere un limite, ma quella sorta di mollezza con cui le falangi e i polpastrelli incontrano ebano e avorio arriva a suggerire una sorta di astrazione metafisica, di dimensione onirica in cui prende forma un'interiorizzazione profonda quanto quasi ossessiva, come se in quel suono pensato prima ancora che suonato si condensasse l'esperienza di un'intera esistenza, come se, nelle bufere della Storia, quella partitura fosse stata un'ancora di salvezza, un punto di riferimento ineludibile. L'idea stessa del tema e della variazioni si dipana, con una partecipazione davvero commuovente fin dalla prima esposizione dell'Aria, come un eterno ritorno alla stessa idea fissa vissuta e rivissuta in diversi momenti, in alterne vicende, in nuove avversità, in continue ricerche, attesi ristori. Un'autobiografia, certo, ma anche un percorso dell'anima che può ambire all'universalità, tale e tanta è l'emozione, l'empatia palpabile fra la pianista e il pubblico. L'istinto musicale prepotente, anche se tormentato, suggerisce intuizioni di fraseggio, dettagli musicali originali e affascinanti soprattutto quando si ridiscende nelle ultime variazioni verso la ripresa finale dell'Aria, nella quale spira una quiete dolce e melanconica, come se le ferite avessero smesso di sanguinare senza, però, lasciar svanire le cicatrici e il ricordo dei dolori che ci hanno resi quel che siamo. Allora, si può anche soprassedere su qualche passaggio meno netto nelle prime variazioni o per qualche soluzione eterodossa, perché la poesia di questo concerto trascende il dato tecnico, perché la tensione che traspare in un fraseggio turbinoso, agitato, spedito nei tempi al punto da avvicinarsi a una scansione più cembalistica (siamo sotto l'ora complessiva di durata) ne rappresenta il carattere introspettivo, quasi l'identificazione con il valore ideale delle Goldberg superi anche la contingenza fisica dello strumento e rimandi sempre alla muta tastiera fantasma disegnata nel cantuccio del campo di rieducazione.

Si badi bene, in questa interpretazione non v'è nulla di patetico in senso deteriore, c'è, viceversa, la sublimazione del dolore individuale nella dignità universale di Bach, che l'istinto e la consapevolezza per trasformare l'esperienza, e perfino il limite, in un alto linguaggio poetico senza ammiccamenti o leziosità, lasciando dunque un segno potente nell'ascoltatore. Aprendo una riflessione non banale, non dolciastra o stereotipata, sul valore salvifico dell'arte.

E, mentre riflettiamo, pensiamo che oggi sul biglietto da visita con cui la Cina si presenta al mondo spiccano due giovani divi del pianoforte come Yuja Wang e Lang Lang, al centro di meccanismi mediatici da capogiro. Oggi, la storia di Zhu Xiao-Mei, nata solo pochi decenni prima, potrebbe sembrare di un altro pianeta, ma non è, in fondo, così lontana da noi, dal nostro mondo ancora così denso di contraddizioni e crudeltà, di corsi, ricorsi, ribaltamenti.

Così si chiude la quarta edizione di pianofortissimo, un'edizione che ha visto splendere soprattutto tre astri femminili (Tsybuleva, Kravtchenko e, naturalmente, Zhu) e si accomiata, quest'anno, ricordando quanto, al di là dei loro confini convenzionali, possano dire, cosa possano essere un concerto, un pianoforte, Bach.

foto Veronica Fornasari

 


 

 

 
 
 

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