Jan Lisiecki

Volare più in alto

 di Andrea R. G. Pedrotti

Spicca il Primo concerto per pianoforte e orchestra di Chopin con solista il giovane divo internazionale Jan Lisiecki nell'appuntamento con l'Orchestra della Fondazione Arena nell'ambito del Settembre dell'accademia Filarmonica di Verona. A una buona qualità tecnica dei professori guidati da Francesco Ommassini si accompagna, per il resto, un contegno interpretativo un po' scolastico per un complesso che ambisce, giustamente, a smarcarsi dai cliché del repertorio e delle sonorità areniane.

VERONA, 28 settembre 2016 - In occasione del concerto del 28 settembre, presso l’Accademia Filarmonica di Verona, è stata ospitata l’orchestra della locale Fondazione Lirica. Un’idea condivisibile da parte dell’istituzione presieduta dal dott. Tuppini, sia nell’ottica di un contenimento dei costi, sia in quella di un ampliamento del pubblico (per entrambe le istituzioni), specialmente durante la stagione sinfonica della Fondazione, che non ha mai potuto contare su un gran numero di abbonati nonostante alcuni pregevoli appuntamenti.

Chiaramente non si può pretendere la qualità di altre gloriose orchestre passate dal teatro Filarmonico, tenendo ben conto che in questa sala, nell’ambito di queste venticinque edizioni dei Settembre dell’Accademia, la città di Verona ha avuto l’onore di ospitare il meglio che il mondo abbia offerto negli ultimi anni.

L’inizio è apparso un po’ titubante, con l’esecuzione della Sinfonia dall’opera Il turco in Italia di Gioachino Rossini in cui si sono palesati qualche eccessiva asprezza esecutiva e lo scollamento fra le sezioni che hanno sempre destato maggiori perplessità: percussioni e ottoni. Il m° Francesco Ommassini, come in occasione di La Sonnambula andata in scena al Filarmonico lo scorso aprile [leggi la recensione], non brilla per varietà di fraseggio e sebbene gli archi (come sempre fra i migliori elementi di questa orchestra) svolgano il loro compito con perizia, le indicazioni del concertatore non sembrano stimolarli a una maggior ricerca interpretativa. Sembra quasi di ritrovare un gusto esclusivamente settecentesco, in un’opera del secondo decennio del secolo successivo. L’assolo del corno viene ben eseguito, ma, in linea con le scelte del direttore, solo tecnicamente, senza variazioni di colore.

Riteniamo che taluni sfasamenti non siano da imputare né alla bacchetta impegnata, né ai professori, ma all’assenza, in Fondazione, di un direttore musicale che sappia disciplinare e compattare l’orchestra.

Le cose migliorano decisamente nei due brani successivi, a partire dal Concerto per pianoforte e orchestra n.1 in Mi minore Op. 11 di Fryderyk Chopin.

Curiosamente, visto il repertorio che sta affrontando in questo momento della sua carriera, la concertazione di Ommassini risulta più efficace nel rivolgersi al Romanticismo.

Tutto quello che, dal punto di vista del fraseggio, ci era mancato precedentemente giunge al pubblico, sublimato dalla tastiera dell’ottimo pianista canadese, Jan Lisiecki. L’orchestra accompagna bene il solista –giovane, ma già con una notevole carriera alle spalle - che accompagna a una notevole perizia esecutiva doti artistiche che vanno ben oltre una semplice tecnica e messe in luce da un brano che ci appare particolarmente adatto alle sue capacità. Dei tre movimenti: Allegro maestoso; Romanza. Larghetto; Rondò. Vivace sono il primo e l’ultimo ad apparire i più efficaci per intensità e fraseggio. Da sottolineare, inoltre, la grande attenzione del pianista nel cercare la migliore sinergia con il direttore d’orchestra. La diversa strumentazione e il differente organico consentono all’orchestra di palesare migliori qualità e la resa complessiva ne giova non poco.

Dopo un breve bis di Lisiecki dedicato a Robert Schumann, è stata la volta della Sinfonia n. 4 in Fa minore Op. 36 di Pëtr Il'ič Čajkovskij. L’autore russo dev’essere particolarmente affine alle caratteristiche tecniche dei professori d’orchestra della Fondazione Arena, che alle prese con le sue partiture hanno saputo offrire alcune delle migliori prove concertistiche [ricordiamo in particolare l'ottimo risultato sortito nel 2015 - leggi la recensione].

I quattro movimenti vengono eseguiti con maggior precisione e compattezza fra le sezioni. Così una delle difficoltà più insidiose di Čajkovskij viene superata. Nel primo movimento è previsto un Andante sostenuto, seguito da un Moderato con anima. Per quel che riguarda le prime indicazioni del compositore, ci si può dire soddisfatti dell’esecuzione. Purtroppo l’orchestra palesa ancora alcune rudezze, che fanno venir meno quella più importante, ossia il “con anima”. Secondo quanto scriveva Čajkovskij dovremmo pensare di trovarci ad affrontare un viaggio verso un'irraggiungibile salvezza, alla ricerca di una felicità osteggiata dal fato. La concertazione di Ommassini ha fatto trasparire poco di tutto questo, in un’atmosfera che non travalicava di molto una scolastica correttezza. Meglio il secondo movimento Andantino in modo di canzona, anche se anche non si realizzava pienamente quello strano senso melanconicamente pensieroso concepito dall’autore. Possiamo, tuttavia, dire che la qualità tecnica e una discreta unità non sono mai mancate, con l’orchestra areniana a seguire fedelmente le indicazioni del direttore.

Nel terzo movimento, Scherzo (Pizzicato ostinato). Allegro - Meno mosso - Tempo I,  non troviamo quel clima di leggera ebrezza etilica suggerito da Čajkovskij e indispensabile nel volgere a un quarto movimento (Finale. Allegro con fuoco) che conduca alla gioia spensierata di una festa di villaggio. Qui si dovrebbe risvegliare il pensiero, nonostante l’inoppugnabilità del fato, che la vita sia comunque bella e valga la pena di essere vissuta. Per intenderci la sinfonia diretta da Ommassini ci è parsa un buon esercizio di scuola, tuttavia priva della caratteristica principale della musica romantica: il sentimento. Forse uno sforzo interpretativo maggiore avrebbe meglio reso il complesso del programma, naturalmente senza pretendere la profondità della concertazione di mostri sacri come Leonard Bernstein. Tuttavia talune rudezze e taluni cali d’intensità del fraseggio (non del vigore dei volumi orchestrali) facevano perdere la continuità drammaturgica.

Non troppo condivisibile la scelta del bis: se si vuole far perdere all’orchestra della Fondazione Arena l’etichetta che la vede identificata in un repertorio notevolmente limitato, sarebbe stato consigliabile non eseguire la Sinfonia da Nabucco di Giuseppe Verdi, tra l’altro affrontata con delle sonorità più adatte all’anfiteatro poco distante, che non al prestigio raccolto dell’Accademia Filarmonica. In tutta sincerità riteniamo sarebbe stato preferibile un altro bis, magari un intermezzo da Cavalleria Rusticana o Manon Lescaut, una danza ungherese di Brahms, una Polonaise dall'Onegin, o molto altro. Sinceramente optare per Nabucco ci è parsa una decisione inspiegabile, se si vuole tentar di assurgere a una caratura artistica internazionale, al momento ancora distante e che necessiterà un auspicabile lavoro di programmazione artistica di più ampio respiro anche temporale.

 

foto Maurizio Brenzoni