Marco Angius

Declinare la Rivoluzione

 di Roberta Pedrotti

Prosegue la rassegna Bologna Modern con una serie di novità, assolute o italiane, di Sciarrino, Traversa e Rihm affiancate da uno Stockhausen giovanile.

BOLOGNA 19 ottobre 2016 - Quattro brani, una prima assoluta e due prime nazionali, due autori tedeschi e due italiani, tre compositori viventi, tre fra i nomi più importanti degli ultimi decenni. Mescoliamo variamente questi ingredienti e avremo il programma, sulla carta succosissimo, del secondo concerto diretto, con la passione e la competenza di un grande esperto di questi linguaggi, da Marco Angius per la rassegna Bologna Modern (qualche giorno prima aveva diretto Kurtág, Haas, Caprioli, Rihm e Cerha).

Ecco dunque sfilare Salvatore Sciarrino (L’ideale lucente e le pagine rubate, prima italiana), Martino Traversa (Images, prima assoluta), Wolfgang Rihm (Nähe Fern n.1, prima italiana) e Karlheinz Stockhausen (Formel) e indicare un’ulteriore scansione per il programma, quella fra sperimentalismo estremo e rielaborazione storica.

A sperimentare è Sciarrino, che cerca e trova un nuovo sussurro degli archi, un suono flebile e spettrale ottenuto ricercando con l’archetto più il legno delle corde, almeno fino alle ultimissime battute, e rimbalzando sommessi gemiti in un’orchestra d’archi concepita, più che per sezioni, per singolarità. L’effetto, invero prolisso nel suo sfiorare la mezz’ora, è quello, però, di un’elaborazione in vitro, di un’iterazione scientifica che ripete un procedimento senza giungere a una sintesi artistica, a un processo creativo, a una qualche nascita ed elaborazione di questo suono già parcellizzato. Qualche mese fa, proprio a Bologna (e proprio con Angius sul podio) in Luci mie traditrici [leggi la recensione] si era potuto ben altrimenti apprezzare come gli stilemi sciarriniani – comprese la scomposizione e reiterazione di moduli musicali – potessero costruire una drammaturgia singolare e ipnotica, mentre questo Ideale lucente sembra per lo più uno studio preparatorio per strumenti da mettere ben altrimenti a frutto.

Con Traversa ci si trova catapultati in tutt’altro mondo, che si potrebbe dire accademico se non suonasse poco lusinghiero: là dove avevamo una lallazione sperimentale su una tabula rasa, abbiamo ora lavori radicati fortemente nella tradizione, attenti all’organismo orchestrale nei suoi impasti timbrici e rapporti interni, omaggi moderni in dialogo con i moderni di uno o più secoli fa.

Traversa guarda a Debussy, con qualche pennellata alla Rimsky Korsakov, ed elegantemente, senza spigoli o brividi particolari, ma buon dominio dell’orchestra e salda visione strutturale, illustra le sue Images.

Rhim, con la classe acuta che gli è propria, rispolvera a sua volta l’ultima grande stagione sinfonica austrotedesca, fra Brahms e Mahler a ribadire un ponte di continuità, ché il retaggio del passato è vissuto come una ricchezza e si riconosce a chi ci ha preceduto una spinta propulsiva da non rinnegare né adorare passivamente come ceneri. In tal senso l’omaggio di Rhim come quello di Traversa, entrambi composti fra i cinquanta e i sessant’anni, suonano come una sorta sorta di punto d’arrivo, di riconoscimento ai maestri alla luce di un percorso artistico già consolidato. Viceversa uno Stockhausen poco più che ventenne (siamo nel 1951), che non ha ancora scoperto le gioie dell’elettroacustica né sondato i misteri della matematica, sembra sentire il bisogno di affondare le mani nella seconda scuola di Vienna, di dimostrarsi padrone dei meccanismo atonali e seriali ormai serenamente storicizzati. Così, se la dissoluzione della tonalità aveva saputo graffiare, come le zampine di un gatto, ritrae qui gli artigli – sempre in agguato – e cammina felpata, morbida e inafferrabile. Ogni rivoluzione, una volta esplosa, con il tempo si fa un po’ meno affilata e ne prepara, semmai altre: la rivoluzione di questo giovane tedesco inquieto ma attento a lucidare per bene le proprie armi dovrà ancora venire. Così come, in modo diverso, Traversa e Rhim ci avevano ricordato che nei monumenti del secondo Ottocento di rivoluzione ne bruciava parecchia, e ne abbiamo conosciuto i frutti, anche se magari oggi non ci turba più come un tempo.

Ottima la prova dell'orchestra, pubblico scarsino, ma con la presenza incoraggiante di una percentuale più che discreta d’attentissimi studenti.