L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

quartetto di cremona

La Morte danza in punta d'archetto

 di Roberta Pedrotti

Il Quartetto di Cremona con la partecipazione di Enrico Bronzi, Riccardo Donati e Gloria Campaner propone un ardito e intrigante programma schubertiano per la stagione di Musica Insieme.

BOLOGNA, 24 ottobre 2016 - Si sono chetate solo da poche ore le note di Bologna Modern, ed eccoci subito immersi nel primo Ottocento. Un salto non troppo ardito, perché se non v’è ragione di temere il Novecento e il Duemila, non ne abbiamo nemmeno per considerare Schubert molto più lontano da noi, soprattutto se guardiamo oltre alla superficie, in quel suo intrico inestricabile di sottintesi fra dolcezze, dolori, desideri e morte. Un intreccio che si estende anche al di là del microcosmo di un singolo brano, laddove il tema di un Lied trapassa in un movimento di un qualche lavoro strumentale non come puro materiale melodico, ma come portatore di un significato che può essere ancora declinato, interpretato, connesso ed esplorato lontano dal testo verbale attorno al quale era nato. Il Quartetto D 810 La morte e la fanciulla e il Quintetto D 667 La trota sembrano lo scandaglio del non detto e del sommerso nel canto della gioventù che prima teme poi si abbandona alla morte in una danza cullante, dell’innocenza del limpido ruscello intorbidito dall’inganno mortale del pescatore.

In un concerto di proporzioni decisamente audaci (oltre due ore di musica) il Quartetto di Cremona iscrive la riflessione schubertiana sulla morte fra questi due estremi, e lo fa con quella levigatezza di suono simile a un marmo canoviano, di abbacinante candore, classica compostezza che, senza esibire passioni romantiche o veriste, senza esporre sangue e carne viva, lascia percepire attraverso altri sensi l’esperienza tattile del pulsare delle vene sotto la pelle sottile, delle sete morbide e leggere, degli sguardi umidi e assorti. L’affiatamento dei musicisti del Quartetto di Cremona li fanno intendere come un’unica, elegantissima voce poetica affine al vibrante classicismo foscoliano, a quello doloroso e vago di Leopardi, in un linguaggio più sinteticamente lirico che analitico e sbalzato fra contrasti. Con un pizzico di spirito viennese, naturalmente.

La bella eloquenza di questa koiné musicale condivisa non è turbata dall’inserimento del contrabbassista Riccardo Donati per La trota e del violoncellista Enrico Bronzi per il Quintetto in Do Maggiore D 956, scritto nelle ultime settimane di vita di Schubert e sul quale, dunque, la Morte non può non continuare ad aleggiare, e a danzare ambigua. Il volo del Quintetto, il suo carattere quasi di testamento, si esplicita anche nella singolare ampiezza delle proporzioni: cinquanta minuti, quasi fosse una Sinfonia di Mahler concepita, però, nell’intimità cameristica.

Se Cristiano Gualco e Paolo Andreoli violini, Simone Gramaglia viola, e Giovanni Scaglione violoncello suonano assieme come un’unità artistica indissolubile, perfettamente rodata nell’amalgama di personalità, il Quartetto è tanto affiatato e maturo da accogliere in sé altri due archetti senza che si avverta la benché minima increspatura nella superficie, solo una venatura nuova nel timbro, arricchito e ribilanciato in diversi equilibri.

Nondimeno Gloria Campaner non trova difficoltà nell’integrare con discrezione e precisione il suo pianoforte nel Quintetto La trota, la chiusura in bellezza della serata e dello straordinario tour de force degli interpreti (in particolare Gualco, Gramaglia e Scaglione, impegnati praticamente senza soluzione di continuità).

Dopo ogni brano gli applausi scrosciano con una compattezza fluviale, rara anche a prescindere dalla grande affluenza di pubblico in tutti gli ordini di posti. Già solo l’occasione di ascoltare uno dopo l’altro questi nodi fondamentali dell’autobiografia musicale di Schubert valeva la serata; la qualità del Quartetto di Cremona e del loro lavoro di concerto con gli ospiti no ha lasciato spazio per delusione.


 

 

 
 
 

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