L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Katharina Kammerlohrer e Juraj Valcuha

Foto di gruppo con Zarathustra

 di Alberto Ponti

Tra inquietudine e vitalismo si confrontano le due anime del mondo germanico fin de siècle

TORINO, 1 dicembre 2016 - Tra il sontuoso Kaiser-Walzer (1890) di Johann Strauss figlio (1825-1899) e gli aforistici Cinque lieder op. 3 (1908/09) di Anton Webern (1883-1945) passano meno di vent'anni, ma all'ascolto paiono un secolo. Non si può quindi non apprezzare Juraj Valčuha, che per il suo secondo concerto torinese alla guida dell'Orchestra Sinfonica Nazionale, mercoledì 30 novembre e giovedì 1° dicembre, ha scelto un programma di coraggiosa varietà, imperniato, anche nella scelta della voce solista (il mezzosoprano bavarese Katharina Kammerlohrer), sulla direttrice Vienna-Monaco. Alle due pagine di apertura sono infatti seguiti, nella prima parte, i Sieben frühe lieder (1905/08) di Alban Berg (1885-1935) nella trascrizione sinfonica dello stesso autore, prima di approdare dopo l'intervallo al Richard Strauss più magniloquente di Also sprach Zarathustra (1896).

Cantante dal timbro piuttosto scuro ma di notevole estensione, la Kammerlohrer è ugualmente agile nelle puntate più acute come nei sussurri appena intonati distillati dalla caleidoscopica scrittura di Webern, potenziata dall'attenta orchestrazione di Michele Dall'Ongaro (in prima esecuzione italiana) dall'originale per pianoforte. Il pubblico segue con attenzione i brevi pezzi, dai quali scaturisce una tensione quasi insostenibile portata a un livello ancora più febbrile dai testi tratti dalla raccolta Der siebente Ring di Stefan George, densi di allusioni alla segreta passione per il giovane poeta Maximilian Kronberger. Al confronto i sette lieder giovanili di Berg, con il loro prorompente pathos tardoromantico che li accomuna piuttosto a Hugo Wolf, sembrano inserirsi direttamente nel solco della grande tradizione di area tedesca, nonostante nel quinto pezzo della raccolta, Im zimmer, l'orchestrazione, realizzata tardivamente dal compositore negli anni della piena maturità, dimostri una lucidità timbrica affinata da chi aveva già alle spalle lavori come Wozzeck e la Lyrische Suite. L'intesa fra l'intima emozione impressa dalla cantante a questi brani e la direzione avvolgente del maestro slovacco, sciolta nell'eloquio ma attenta al dettaglio di una partitura quasi cameristica che pone sempre in primo piano l'espressività della voce umana, dimostra di essere largamente apprezzata dalla platea, con un caloroso e lungo applauso tributato agli interpreti e ripetute chiamate sul palco.

Johann Strauss figlio e Richard Strauss (1864-1949), accoppiati dal cognome ma, come si sa, non imparentati, si trovano curiosamente uniti anche nella colonna sonora di 2001: Odissea nello spazio, pellicola che ha reso universalmente nota l'introduzione del poema sinfonico ispirato all'omonimo libro di Nietzsche, musica capace di rendere in modo impetuosamente materico il passaggio dalle tenebre alla luce. La partitura di Also sprach Zarathustra, con il suo organico colossale (sei corni, quattro trombe, tre tromboni e due tube per i soli ottoni) e la sua enorme varietà espressiva in ognuna delle nove sezioni in cui è articolata, è un temibile banco di prova per ogni direttore che aspiri alla gloria. Valčuha, sempre più affermato a livello internazionale per i prossimi impegni con le orchestre di New York e San Francisco, ne dà una lettura robusta, calcando in alcuni punti un po' troppo sul pedale della sonorità e finendo per sommergere nel flusso sonoro alcune raffinatezze degli strumentini, soprattutto nell'episodio Von der Wissenschaft, nel quale Strauss rappresenta i progressi della scienza, in contrapposizione alle credenze irrazionali dell'uomo primitivo, con una articolata e complessa fuga dal superbo trattamento contrappuntistico. D'altro canto, rimane esemplare la visione dei diversi episodi a comporre un unico affresco mettendo in risalto i numerosi rimandi tematici interni, così come ammirevole è il suono pieno, pulito, privo di sbavature, pienamente 'straussiano' che questo direttore sa ottenere con sicurezza da un'orchestra conosciuta a fondo in tutte le sue potenzialità, acclamata con autentiche ovazioni anche per le sue prime parti, a cominciare dal violino di spalla Roberto Ranfaldi, protagonista di un impegnativo assolo nell'episodio Das Tanzlied (Canzone a ballo), quando il compositore tedesco si diverte a ricreare, non senza una certa nostalgia, l'atmosfera belle époque del suo omonimo collega viennese, all'insegna del quale si era aperta la serata. 


 

 

 
 
 

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