L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

antonio pappano e janine jansen

Pathos platonico

 Di Andrea R. G. Pedrotti

Antonio Pappano, Janine Jansen e l'orchestra di Santa Cecilia a Brescia con un programma dedicato alla danza e al movimento, del corpo come dello spirito.

BRESCIA, 19 dicembre 2016 - Ormai ospite abituale del Teatro Grande, Antonio Pappano torna a Brescia con l'Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, forse l'unico complesso italiano capace, per qualità, di tener testa ai più grandi organici europei.

È stato lo stesso direttore londinese a presentare il programma al folto pubblico presente: il tema conduttore del concerto era la danza e il movimento, a partire da Maurice Ravel, passando per Leonard Bernstein e Jean Sibelius, fino a tornare al compositore che aveva aperto il programma, con un brano dedicato a Vienna e alle sue particolari sonorità.

I primi due pezzi in programma (in principio scritti per pianoforte e poi orchestrati) erano tratti dalla raccolta Miroirs: Une barque sur l'océan (D'un rythme souple) e Alborada del Gracioso (Assez vif). In entrambe le esecuzioni è palese la sensazione di dinacità, con lo strano sconforto e il tormento di una imbarcazione in preda ai flutti (come non ricordare la celeberrima metafora di Alceo a riguardo), che nel disordine della tempesta conduce al ritmo “molto vivo” della Alborada del Gracioso. Si esalta il clima di spensieratezza mediterranea fra le acque e nel canto di un personaggio della commedia spagnola. Il brano è ben diretto da Antonio Pappano, che sfrutta con dovizia le sezioni e le opportunità esecutive che la versione orchestrale di Ravel offre.

Si passa da una serenata (foss'anche nella versione mattutina) all'altra, con la Serenade after Plato's “Symposium” di Leonard Bernstein. Qui l'organico si riduce notevolmente, ma aumentano le emozioni. L'orchestrazione di Bernstein di questo brano raramente eseguito è, prevedibilmente, eccellente nel sublimare le sensazioni di un lettore immerso nelle pagine di Platone, che, nel Simposio, si proponeva l'analisi del sentimento nei suoi varii aspetti, attraverso una forma espositiva chiara e asciutta, tanto che un occhio poco attento (o poco sensibile) potrebbe non coglierne la profondità effettiva. I movimenti presentano gli ospiti del convivio di Agatone e, per chi abbia avuto la fortuna di leggere il testo greco, è davvero emozionante riscontrare l'apparente naturalezza, con cui le note del compositore statunitense sanno riconcondurre con lampante chiarezza ai nomi e alle teorie degli illustri commensali ateniesi, sicché le didascalie in partitura risultano quasi superflue. Qui è intervenuta anche la brava violinista olandese Janine Jansen, partecipe nel volteggiare l'archetto sulle corde del suo Stradivari e dotata di buone doti tecniche. Qui è necessario un piccolo appunto alla concertazione di Pappano: tecnicamente ineccepibile e dalla raffinata linea musicale, ma avara di spunti interpretativi e scevra del pathos del testo platonico così ben tradotto in musica da Leonard Bernstein.

La prima parte si è conclusa senza che -curiosamente visto l'apprezzamento del pubblico- venisse concesso alcun bis dalla solista, in vista di una seconda parte che avrebbe avuto come protagonisti solamente Antonio Pappano e l'Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia.

Dopo l'intervallo ad accoglierci è la Sinfonia n. 7 in Do maggiore Op. 105 di Jean Sibelius; pagina dalla notevole intensità che (come ha ricordato lo stesso Pappano) l potrebbe ingannare l'ascoltatore che si fermasse alla semplice lettura della tonalità. In essa è contenuto un senso di mistero e di eleganza che ben si confanno al tema principale del concerto ( danza e movimento). Anche per questa sinfonia vale il discorso fatto in precedenza; sebbene in questo caso non fosse necessario il trasporto (per chi legge, si suppone non per chi lo scrisse) di cui trasudano gli scritti di Platone, tuttavia si nota una lettura della partitura fin troppo accademica, molto anglosassone, ma eccessivamente fredda. Perfetta, è vero, sotto il punto di vista esecutivo, ma, invero, debole nella ricerca di una molteplicità di significati nascosti negli arcani del pentagramma.

La chiusa della serata è affidata ancora una volta a Maurice Ravel, con La Valse, un poema coreografico per orchestra che vorrebbe essere omaggio alla Vienna degli Strauss. Dello spirito della famiglia musicale probabilmente più celebre di ogn tempo si ritrova poco nella scrittura di Ravel (un costante “vorrei, ma non posso”), tuttavia è questa volta Pappano a offrire una bella linea interpretativa, grazie all'utilizzo di una variegata tavolozza di colori, a esaltare quelle parti che sono più palesemente omaggio alla musica dell'Austria Felix. Permane la perfezione tecnica, con una scansione dei tempi indicati in partitura ineccepibile, così come è ineccepibile la qualità e la coesione di tutta l'orchestra.

Grandi applausi al termine del concerto, con Antonio Pappano a offrire al pubblico un altro omaggio all'arte tersicorea, ossia la parte finale di La danza delle ore, tratta dall'opera La Gioconda di Amilcare Ponchielli.


 

 

 
 
 

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