Gli allegri cavalieri

 di Fancesco Bertini

 

La collaborazione fra il Palazzetto Bru Zane e il Gran Teatro La Fenice porta a Venezia, in occasione del Carnevale, l'operetta Les chevaliers de la table ronde di Hervé, un gioiello di spirito ben servito da un'ottima esecuzione.

VENEZIA, 13 febbraio 2016 - Carnevale è più “sacro” di qualsiasi ricorrenza a Venezia. Le poche settimane prima dell’inizio della Quaresima sono un ricettacolo incredibile d’eventi nella vitalissima città lagunare. Due delle realtà che annualmente si occupano di concepire eventi musicali, per animare questo periodo, sono le fondazioni Teatro La Fenice e Palazzetto Bru Zane. La loro collaborazione ha dato vita aduna produzione tra le più riuscite degli ultimi tempi. Il lavoro congiunto, reso coeso dal fondamentale apporto della compagnia Les Brigands, è stato il collante indispensabile a portare in Italia Les chevaliers de la table ronde.

Considerato uno dei padri dell’operetta francese, Louis-Auguste-Florimond Ronger, in arte Hervé, ebbe un’esistenza piuttosto movimentata e decisamente poliedrica per talenti artistici. Musicista, librettista, attore, cantante, direttore d’orchestra, impresario e direttore di compagnia furono alcune delle mansioni ricoperte contemporaneamente o in momenti differenti della sua esistenza, estesasi lungo tutta la seconda metà dell’Ottocento. Cresciuto come organista in alcuni centri religiosi, raggiunse l’effettiva notorietà tra gli anni sessanta e settanta del XIX secolo. Il geniale intuito si riversò in un’attività compositiva frenetica: uscirono dalla sua penna circa un centinaio d’operette, con svariate punte di diamante, elogiate, all’epoca, da pubblico e critica. Il prestigio assoluto di Offenbach pose ostacoli ulteriori ai colleghi desiderosi di ottenere un ingaggio presso i rutilanti teatri parigini. Hervé si confrontò da vicino con la gloria di Jacques: il successo fu spesso stornato dalla concomitanza di eventi musicali maggiormente pubblicizzati o vicini ai gusti del tempo. Ma la perseveranza ebbe la meglio, anche sui volubili ascoltatori della capitale: Les chevaliers de la table ronde, rappresentata per la prima volta il 17 novembre 1866 al Théâtre des Bouffes-Parisiens, inaugurò una serie di grandi operette in più atti che imposero la figura di Hervé all’attenzione di tutti i francesi.

Il libretto, steso a quattro mani da Henri Chivot e Alfred Duru, è una sottile e spietata rivisitazione della saga dei cavalieri della tavola rotonda. Gli ingredienti quotidiani, inseriti nel contesto arturiano, danno un’impronta decisamente ironica alla narrazione, accelerata da continui colpi di scena e cambi di tono, fino alla surreale risoluzione finale sulle note del Ronde des Chevaliers. I riferimenti, le citazioni e le storpiature delle abitudini musicali europee non mancano: dal finale secondo alla maniera di Verdi, alle strutture formali ispirate dall’opera italiana e francese. Nonostante ciò, nel 1866 il successo non parve arridere ai Chevaliers e l’autore, evidentemente interessato a questo lavoro, vi rimise mano nel 1872, quando la situazione politica era ben differente, arricchendo la partitura di nuove arie.

L’adattamento pensato per la produzione battezzata lo scorso novembre all’Opéra National de Bordeaux, e coprodotta con l’Opéra de Reims, il Centre des bords de Marne e La Coursice, Scène nationale La Rochelle, prevede l’inserimento nella struttura del 1866 di alcuni estratti musicali composti nel 1872. La trascrizione per dodici strumentisti (l’originale concepisce una trentina d’esecutori), operata da Thibault Perrine, mette in luce il ritmo serrato che rende vorticosa la partitura, grazie ad accompagnamenti danzanti, curiose trovate canore (si pensi all’imitazione dello jodler) e stravaganti idee formali. Ma è soprattutto la versatilità della compagnia, alla quale è affidata la realizzazione della produzione, a rendere fluido e divertente lo spettacolo.

Les Brigands lavorano dal 2000 per il recupero e la valorizzazione dell’operetta francese affidata ad un gruppo di esecutori, costantemente rinnovati. A guidarli vi è l’estroso Christophe Grapperon capace di unire e animare tanto i musicisti in buca, quanto i tredici interpreti che danno fondo alle proprie capacità vocali e attoriali per tornire Les chevaliers. Le loro abilità sono entusiasmanti per il dinamismo con il quale si intrecciano nell’effervescente dipanarsi della vicenda.

Si apprezzano tutti ma in campo canoro primeggiano l’agile Chantal Santon-Jeffery, Mélusine, il divertito Merlin (figlio del più noto Merlino) di Arnaud Marzorati, il tenero Médor di Mathias Vidal e Rémy Mathieu, Roland. Ottimi per il loro affiatamento e le prodezze sceniche anche gli altri artisti: Damien Bigourdan, duca Rodomont, Antoine Philippot, siniscalco Sacripant, Ingrid Perruche, duchessa Totoche, Lara Neumann, la figlia Angélique, Clémentine Bourgoin, dama Fleur-de-Neige, i cavalieri Amadis de Gaule, David Ghilardi, Lancelot du Lac, Théophile Alexandre, Renaud de Montauban, Jérémie Delvert, e Ogier le Danois, Pierre Lebon.

Pierre-André Weitz, regista, scenografo e costumista, agisce con mano lieve e intelligente: il rischio di appesantire l’operetta e toglierne le caratteristiche peculiari è sempre dietro l’angolo. Ma sagacia ed esperienza gli consentono di ideare una messinscena scorrevolissima dove il bianco e il nero pervadono ogni elemento. Tra cavalieri sportivi, maghe dominatrici, maghi pasticcioni, nobili tonti e trovate circensi, Weitz racconta una storia il cui insegnamento è valido in ogni epoca.

Una volta tanto anche gli applausi finali non sono affrettati e accolgono trionfalmente il coronamento di una pregevole operazione che vede uniti, nel divertimento, spettatori e interpreti.

foto Michele Crosera