L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il ciel si rischiara

 di Andrea R. G. Pedrotti

Alcune migliorie registiche (come la riduzione del fastidioso, eccessivo effetto nebbia nel terzo atto) accompagnano un esito in crescendo, complessivamente più convincente, per per la seconda recita di Rigoletto, con un cast rinnovato nei due protagonisti maschili.

Leggi la recensione della prima con Leo An, Alessandro Scotto di Luzio e Mihaela Marcu

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VERONA, 15 marzo 2016 - Come auspicato al termine del resoconto della prima di domenica, il crescendo di Rigoletto al teatro Filarmonico è proseguito. Nel primo atto sembrava di essere effettivamente a uno spettacolo più rodato e con maggior attenzione al dramma che si andava eseguendo. La regia è stata epurata da molti effetti rumorosi (è rimasto qualche grido di troppo, ma non eccessivamente fastidioso) e molto di ciò che ci era parso sopra le righe è stato asciugato. Un esempio per tutti è l'approccio del Duca di Mantova alla Contessa di Ceprano, molto più insinuante e meno violento. La crudezza della corte dei Gonzaga emerge senza problemi ugualmente ed è bello l'effetto del coro, in semicerchio attorno a Monterone, il quale diviene fuoco ottico, saggiamente puntato dalle braccia dei cortigiani e ben accompagnato dalle luci. Un'altra variazione significativa è avvenuta nel secondo quadro del primo atto, grazie a una recitazione e un interscambio fra il gobbo e la sventurata figlia maggiormente efficaci, rendendo più percepibile il dramma familiare di Rigoletto che obbliga Gilda a vivere segregata in casa, non tanto per timore di un approccio da parte del suo signore (difficilmente avrebbe potuto immaginare la cosa), ma più per sua morbosa smania di possessione del feticcio vivente, unico ricordo della sua defunta moglie. Un'altra differenza evidente è stata una drastica riduzione nell'uso del ghiaccio secco, durante il terzo atto. Ne ha giovato sicuramente la musica: infatti gli artisti si sono prodotti in un unisono più efficace e ordinato, ovviamente per la possibilità di vedere chiaramente le indicazioni del concertatore.

Nel cast assistiamo a numerosi debutti, primo fra i quali quello di Raffaele Abete come Duca di Mantova. Se eccettuiamo una certa carenza nello squillo e negli accenti, possiamo definire la sua prova sostanzialmente positiva: è musicalmente corretto e si trova più a suo agio in un canto sfumato, piuttosto che nella pura spavalderia. Interessante il fraseggio nell'aria del secondo atto “Parmi veder le lagrime”.

Si fa preferire, nella crescita generale, anche il debuttante Federico Longhi, che dimostra di aver preparato con attenzione la parte. Alcuni problemi vocali sono superati grazie alla prova d'attore del baritono valdostano, ben in parte. Saggia la sua decisione di non scaraventare a terra rumorosamente una scala a pioli, come accaduto domenica, ma di poggiarla a terra accucciandosi sopra di essa. Sicuramente, in questo modo, non ha arrecato danno al buon esito dell'effetto conferito dalla coda orchestrale. Grande veemenza, da parte di Longhi, nell'eseguire “Cortigiani, vil razza dannata”, pestando il piede a terra con violenza, nell'eseguire l'attacco. Ben centrato il Sol naturale in “Pari siamo”: puntatura non eseguita domenica.

Potrebbe sembrar strano, ma la crescita generale coinvolge anche la Gilda di Mihaela Marcu, la quale pone in luce, ancora una volta, le sue sopraffine qualità di attrice poliedrica. Artista di classe superiore, corre l'unico rischio di sovrastare nel carisma i colleghi. La necessaria base di partenza d'una grande precisione e del rigore musicale le consentono di poter esprimere al meglio la sua maestria di interprete, con una lettura sbarazzina e trasognata nel racconto della sua passione per il Duca, mentre appare quasi materna nei confronti del padre. Le sfumature e gli accenti di “Caro nome” sono finemente espressi con una sicurezza che difficilmente potrebbero far credere a un così fresco debutto del soprano rumeno. Bellissimo il Mi bemolle alla fine del duetto con il duca “È il sol dell'anima”, come ancora una volta splendido è il Mi bemolle del secondo atto, preceduto da un “Tutte le feste al tempio” sempre memorabile. Migliora in sicurezza, grazie all'assenza del fumo, anche nelle due scene d'assieme del terzo atto e resta insuperabile la sua lettura della frase “V'ho ingannato... colpevole fui...”

In crescendo anche lo Sparafucile di Gianluca Breda, probabilmente avvantaggiato dal fatto che la maggior parte dei suoi interventi, ad eccezione del duetto “Quel vecchio maledivami”, avvengono nel terzo atto, quando eravamo tutti più liberi dall'ingombrante presenza del vapore acqueo della prima.

Clarissa Leonardi è una Maddalena ancora acerba e fatica a reggere il peso orchestrale verdiano, a causa di un registro grave non ancora fra i migliori: è giovane e può crescere. Brava Alice Marini, una Giovanna particolarmente sicura e squillante. Resta su buoni livelli il Conte di Monterone di Alessio Verna e migliora il Marullo di Tommaso Barea, molto più raffinato nell'emissione. Completavano il cast Antonello Ceron (Matteo Borsa) e Romano Dal Zovo (Il Conte di Ceprano).

Ancora una volta poco incisiva Francesca Micarelli, nel doppio ruolo della Contessa di Ceprano e del Paggio. L'usciere di corte era Dario Giorgielè.

Bella prova dell'orchestra dell'Arena di Verona, ben guidata dal m° Fabrizio Maria Carminati, capace di unire la sua esperienza belcantista al fermento del repertorio successivo, che sta affrontando sovente nell'ultimo periodo. La sua prova risulta più efficace, rispetto a quella seppur positiva della prima, grazie anche alle migliorie apportate alla regia. Da notare l'ottima prestazione del coro, guidato da Vito Lombardi.

Regia e coordinamento costumi erano a cura di Arnaud Bernard, mentre le scene (ampiamente descritte in occasione della prima) erano di Alessandro Camera.

foto Ennevi


 

 

 
 
 

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