L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Carmen al teatro Comunale di Bologna

À la Carmen comme à la Carmen

 di Roberta Pedrotti

Buon successo e molto pubblico giovane per la Carmen al Comunale di Bologna nella replica con il cast alternativo: in scena Cristina Melis, Alessandra Marianelli, Andeka Gorrotxategui e, come alla prima, Simone Alberghini.

Leggi la recensione della prima con Simeoni, Katzarava, Aronica e Alberghini

BOLOGNA, 23 marzo 2016 - A ritmo serratissimo proseguono le repliche di Carmen al Teatro Comunale, attirando un bel pubblico folto anche grazie alle promozioni indirizzate a giovani e studenti: iniziativa che evidentemente comincia a dare i suoi frutti e a radicarsi nelle abitudini di qualche frequentatore di via Zamboni, giacché molti erano i volti nuovi e i neofiti che si facevano notare in una sala dalla media anagrafica un po' più bassa del solito.

Mercoledì sera è la volta del cosiddetto secondo cast, con l'eccezione, fra i personaggi principali, di Escamillo, sostenuto in un tour de force non indifferente da Simone Alberghini per tutte le repliche. Alla quinta recita in sei giorni, nessun segno di stanchezza, anzi, una prova ancor più salda da punto di vista vocale. E se anche si ripete, non a torto, che il suo metodo di canto possa essere ben eterodosso, il risultato è comunque quello di un cantante che calca le scene stabilmente da oltre vent'anni, con una personalità inconfondibile e un'accattivante teatralità. Non è poco.

Ha gioco facile nel farsi preferire di gran lunga alla collega ascoltata alla prima la Micaëla di Alessandra Marianelli: la voce è bella, il colore ideale, come la tessitura del ruolo, che le starebbe a pennello. Perfetta anche la presenza scenica: sembra un ritratto ricalcato sull'iconografia classica, con la sua treccia bionda e il viso angelico; nel costume che tanto rendeva goffa la Katzarava sembra semplicemente una bella ragazza campagnola e cattolica d'altri tempi, nel suo castigato vestitino buono. Se poi riuscisse ad ammorbidire maggiormente gli acuti, soprattutto quelli a piena voce e attaccati direttamente, per lo più tesi e poco controllati, e a tornire il legato, non sempre impeccabile, potrebbe valorizzare appieno i suoi mezzi, ottenere ed elargire maggiori soddisfazioni.

Le attenzioni si andavano, però, concentrando sulla Carmen di Cristina Melis e sul Don José di Andeka Gorrotxategui, voci emergenti di cui sempre più si sente parlare, non senza motivo.

La Melis possiede indubbiamente un bel mezzo vocale d'autentico mezzosoprano, una buona impostazione generale priva di forzature che si sfoga in acuto con buona proiezione. Purtroppo non è così in tutta l'estensione e alcune frasi più centrali o alcune mezzevoci risultano meno incisive. Così la Chanson bohème non schiocca brillante come dovrebbe, mentre si fa maggiormente apprezzare nella scena delle carte, dove sfoggia anche un buon registro grave. Rispetto alla Simeoni, fors'anche per un mezzo in potenza più prossimo all'immagine tradizionale di Carmen, rimane più convenzionale negli accenti. Non è, insomma, o almeno non del tutto, la gitana fragile, vittima del gioco del destino e del teatro immaginata da Babina, ma, non potendo essere la catalizzante, prepotente forza motrice sensuale, finisce per restare a metà strada: ne è un esempio l'accento sprezzante con qui restituisce l'anello a Don Josè, non volgare, ma affatto differente, e alla fine meno interessante, del tono di sconsolata indifferenza udito alla prima.

Gorrotxategui possiede pure uno strumento interessantissimo, non tradisce artificio nel colore e dimostra viceversa facilità in acuto (anche l'aroma di falsetto in un filato del duetto con Micaëla è di buona qualità e pertinente allo stile). Tuttavia, su questa base naturale, il timore che giochi l'emulazione di Domingo e, soprattutto, Kaufmann non sembra infondato: modelli di successo, ma anche pericolosi per la posizione del suono e la salute della voce; modelli forti di una grandissima personalità e di una musicalità scaltrita che il tenore basco dovrà ancora rifinire, mostrando per ora un Don José promettentissimo, d'estrazione drammatica come quello di Aronica – e come Aronica un po' impacciato nella levità da opéra comique della chanson del Dragon d'Alcalà –, forse più dotato dalla natura ma al momento meno munito dall'esperienza, come denuncia in qualche momento di stanchezza e minor incisività.

Sostanzialmente invariato il gruppo dei comprimari, con la sola eccezione di Gabriele Spina che subentra a Sandro Pucci nei panni di uno zingaro, e invariato anche l'esito complessivo, per quanto sia parso più affinato il rapporto fra Fraquita e Mercedès. Bene il coro di grandi e piccini.

Frédéric Chaslin convince ancora una volta con la sua lettura ben misurata, attenta alla fluidità e teatralità, con un gusto analitico che tende ad allontanarsi da una visione rutilante ed edonistica, o anche marcatamente drammatica, del capolavoro di Bizet.

Tale lettura si sposa bene con la visione teatrale di Pietro Babina (anche scenografo, mentre i costumi si devono a Gianluca Sbicca, già collaboratore di Ronconi), che ribadisce la saldezza del suo impianto e un'idea di base molto chiara e ben sviluppata: la vicenda di Carmen come eterna rappresentazione di se stessa imposta da un destino surreale e circense a uso e consumo di un pubblico avido di divertimento. Proprio questa negazione dell'abituale visione intensa, tragica, piena di pathos, di contrasto fra i sessi e tensioni erotiche esplosive può disorientare lo spettatore, riportando l'azione alle radici dell'opéra-comique con un passo ulteriore verso l'astrazione, sicchè il dramma di Carmen diventa non più la sua vicenda ma la coercizione alla finzione e alla reiterazione di quella vicenda. Una visione diversa, oggetto di plausibile dibattito, ma possibile per un'opera così complessa e densa di simboli, anche al di là di immagini più o meno convincenti per il gusto e la sensibilità del singolo (per esempio, nel clima antidrammatico generale, l'immagine di profughi e migranti nel terzo atto risulta sempre un po' destabilizzante: un momento di dramma reale non trattato come tale, senza aperto contrasto con quel che segue e precede, benché in effetti anche il Dancaïre e il Remendado con la loro banda siano già di per sé sempre sospesi sul crinale fra simpatici furfanti, rivoluzionari inneggianti alla libertà e criminali fatti e finiti).

La Carmen uccisa per finta ad uso e consumo di inneggianti turisti onnivori suscita qualche interrogativo in ragazze alle prime esperienze teatrali (“Ma, è resuscitata?” sussurra una giovane vicina), tuttavia, a ben pensarci, questa rappresentazione della banalizzazione e spettacolarizzazione dell'eros e della violenza non è poi così bizzarra. Questa Carmen non entrerà negli annali degli allestimenti memorabili, ma va in scena con la dignità di un pezzo di teatro pensato con cura. Non per nulla, questa replica è salutata da vivissimi applausi, non scontati per un capolavoro travolgente quanto, in realtà, delicato nel suo complesso. Anche e forse soprattutto per dei neofiti.


 

 

 
 
 

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