L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Irina Dubrovskaya

Amina ritrovata

 di Andrea R. G. Pedrotti

 

La presenza dell'ottima Irina Dubrovskaya nei panni della protagonista risolleva l'esito della Sonnambula al Filarmonico. Buona anche la prova dei complessi del teatro (che informano con un comunicato sindacale del mancato pagamento dello stipendio di marzo), in attesa che il commissario Carlo Fuortes possa sciogliere la delicatissima situazione della Fondazione Arena.

Leggi la recensione della prima

VERONA, 19 aprile 2016 - Nella giornata di martedì al Teatro Filarmonico di Verona è andata in scena la seconda recita della Sonnambula di Vincenzo Bellini, che ha confermato la bellezza e il buon gusto della regia di Hugo de Ana (curatore anche di scene e costumi); una regia non impegnativa per ampiezza di mezzi, ma decisamente apprezzabile visivamente, anche grazie alla maggior dinamicità e interazione fra gli interpreti evidenziate in questa replica, per esempio nel sottolineare le varie proiezioni, come il grande cerchio ottico durante il racconto del sonnambulismo di Amina, travisato in spettro dall’ingenua ignoranza popolare, o le belle immagini della foresta svizzera nel finale del primo atto, o, ancora, nel corso di “Tutto è sciolto”.

A differenza della rappresentazione di domenica, finalmente, ritroviamo Amina, grazie alla presenza di Irina Dubrovskaya. Il soprano siberiano affronta molto bene il recitativo e la cavatina “Care compagne...Come per me sereno”, offrendo spessore interpretativo e varietà d’accenti, pur senza tradire la linea voluta dal concertatore, caratterizzata da una perenne elegia trasognata, ma assolutamente priva di sentimento.

La Dubrovskaya palesa una notevole duttilità della corda e una gran facilità nell’insistere sulle vette della tessitura. Le variazioni della cavatina sono eseguite con gusto e bel legato. Bene anche nei duetti e molto brava nelle due scene di sonnambulismo, con delle lievi variazioni di colore e posizione atte a rendere l’espressione della dormiente girovaga. Ritrova stile anche la cadenza sulla frase “Il mio anello... oh! madre!...”, con la puntatura eseguita prima dell’enunciazione della parole, riconferendo drammaticità alla situazione. Il suo punto più alto, tuttavia, resta la cabaletta “Ah! non giunge uman pensiero”, spettacolare nella coloratura e per facilità nell’estremo acuto.

Anche l’Elvino di Jesús León trae giovamento dall’intensità della collega e, purtroppo solo in presenza del soprano, cerca una maggior ricchezza nel fraseggio. “Prendi: l’anel ti dono” è eseguita con maggior trasporto, così come la frase “Signor conte, agli occhi miei negar fede non poss'io”. Proprio questa frase è emblematica della pochezza umana del personaggio. Egli aveva tentato recuperar rispetto per il suo essere, da parte dello spettatore, in “Ah! Perché non posso odiarti”, ma, anche qui, dubita di lei, dimostrando quanto il suo amore verso la villanella elvetica fosse labile. Insicuro, e geloso, dall’inizio alla fine e sentimentalmente instabile potrebbe essere l’uomo più invidiato dell’orbe terracqueo, desiderato dalle due uniche giovinette del villaggio. Elvino offrirebbe una gran serie di sfumature interpretative, proprio per il suo essere volubile, ma, purtroppo, Jesús León ne regala ben poche.

Sergey Artamov resta sui livelli della prima rappresentazione, con una buona interpretazione scenica, discreto fraseggio e proiezione del suono. Peccato che l’emissione sia ancora un po’ troppo dura, inficiando un’eventuale varietà di colori.

Madina Karbeli si dimostra nuovamente buona attrice e migliora anche sotto l’aspetto vocale, con una gestione dei fiati appropriata, anche se permangono delle difficoltà nelle agilità e nel registro acuto.

Il cast era completato da Elena Serra (Teresa), Seung Pil Choi (Alessio) e Alex Magrì (Un notaro).

Ancora una volta non soddisfacente la concertazione di Francesco Omassini, della quale soffre soprattutto il tenore protagonista. L’attenzione del direttore è rivolta esclusivamente alla melodia, volutamente eterea, ma che risulta perennemente vacua e inconsistente. Nessuna ricerca di colore o di fraseggio, tempi dilatati all’eccesso e qualche aumento del volume orchestrale, inevitabile secondo la partitura, come durante alcuni interventi del coro. Tecnicamente la direzione è sufficiente, se eccettuiamo alcune sviste nell’omogeneità fra le sezioni, palesate da alcuni sfasamenti dei legni, problematica che non avevamo riscontrato due giorni prima.

L’orchestra suona bene e canta bene il coro diretto da Vito Lombardi, sempre caratterizzato dalla bella qualità e colore vocale degli stabili impegnati.

Doverosamente dobbiamo segnalare il comunicato sindacale consegnato per iscritto al pubblico e letto alla sala prima dell’inizio dell’opera, riguardo la mancata erogazione degli stipendi del mese di marzo alle maestranze, che hanno deciso ugualmente di non far mancare la loro presenza per questa produzione.

Personalmente non possiamo che rivolgere i nostri migliori auguri al Commissario Carlo Fuortes, che, da Roma, ha accettato di prendersi in carico la delicatissima situazione attuale della Fondazione Arena.

foto Ennevi


 

 

 
 
 

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