Un ballo in maschera a Spoleto

Ballo contemporaneo

 di Antonio Caroccia

Convince appieno Un ballo in maschera diretto da Marco Angius, che mette ben a frutto in Verdi la sua competenza nel reperotorio di XX e XXI secolo, con la regia di Stefano Monti, parimenti memore del teatro novecentesco di Appia e Craig. Ben assortita la compagnia di giovani artisti.

SPOLETO, 24 settembre 2016 - Sgombriamo subito il campo da ogni dubbio: a noi il Ballo in maschera spoletino dello Sperimentale è piaciuto e i timori iniziali sono stati ampiamente fugati; un direttore, come Angius, che conosce molto bene il repertorio del Novecento come si sarebbe comportato con Verdi? Alcuni giovani interpreti – penso in primis a Samantha Sapienza (Amelia) e Ulrica (Rachele Raggiotti) - avrebbero retto nei rispettivi ruoli? Sì, lo ammettiamo lo Sperimentale continua ad essere quella fucina di sperimentazioni e di formazione, che puntualmente, da ben settant’anni non delude fan e pubblico, con riconoscimenti non solo nazionali ma, anche, internazionali, basti soltanto citare la recente trasferta giapponese con La bohème.

Parlando dello spettacolo, non possiamo che lodare e premiare gli sforzi della direzione di Claudio Lepore e del direttore artistico Michelangelo Zurletti. Si sa, Spoleto è un bel trampolino di lancio e di questo la direzione ha fatto davvero un motivo di orgoglio, con la tradizione del concorso della “Comunità europea” o del corso di avviamento al debutto per giovani cantanti lirici.

Abbiamo citato la direzione di Marco Angius, che ci ha letteralmente sbalordito. Fin dalle note del preludio, appare ben chiaro che Angius è padrone della partitura, a suo agio, come afferma nel libretto di sala: «[…] considero Verdi un autore estremamente attuale, un nostro contemporaneo, sia per la ricchezza sia per le invenzioni drammaturgiche». Il Ballo da lui diretto ha dimostrato quanto interesse, quanta importanza, quanta verità possiede questa partitura nel travagliato processo creativo verdiano. Sono chiari e udibili i colori, i ritmi, le accensioni passionali del suono verdiano; i fremiti e le vibrazioni sono stati resi in modo superlativo. Con Angius, l’Orchestra dello Sperimentale ha dato il meglio di sé e così il coro, curato nei minimi particolari. Il Maestro ci ha davvero fatto capire come sia possibile guardare a questa partitura anche pensando al Novecento con una dinamica ricca e varia; il perfetto gusto delle rifiniture e l’incredibile capacità di creare atmosfere non lontane dalla klangfarbenmelodie di schoenberghiana memoria.

Sebastian Ferrada, che interpretava Riccardo, dimostra di aver assimilato molto bene la lezione verdiana: sicurezza e giusto piglio drammatico, come ampiamente dimostra nel terzo atto con “Forse la soglia attinse”. Paolo Ciavarelli nelle vesti di Renato tiene la scena e la sua voce ci ha convinto, molto intensa ed espressiva l’aria “Eri tu che macchiavi quell’anima”. L’Amelia di Samantha Sapienza è luminosa, dolce come si conviene a questo personaggio: il bel legato e la vivida interpretazione hanno conquistato il pubblico del “Menotti” di Spoleto. Siamo rimasti colpiti dalla chiarezza e dalla luce espressa nella scena “Ecco l’orrido campo” del secondo atto. Molto bene, anche, l’Ulrica di Rachele Raggiotti: voce sicura e ben impostata, scenicamente perfetta, come appare evidente già dall'attacco di “Re dell’abisso, affrettati”. Disinvolto e spensierato l’Oscar di Giulia Mazzola, che offre alla partitura verdiana quel pizzico di ironia e spontaneità indispensabile per “Volta la terrea” (Atto I) e “Saper vorreste” (Atto III).

Assai ben resi, infine, i ruoli di Silvano (Daniele Antonangeli), Samuel (Massimiliano Mandozzi), Tom (Davide Procaccini), un giudice (Antonio Trippetti) e un servo (Ivano Granci), che hanno reso ancora più godibile lo spettacolo.

Di sicuro interesse la regia, le scene i costumi di Stefano Monti, che si è ispirato ai concetti scenografici di Adolphe Appia e Gordon Craig, con la centralità dell’interprete in uno spazio totalizzante e tridimensionale: si guarda sovente alla dinamicità e alla modularità della partitura, pensando alla forma e alla ricerca delle linee grafiche e compositive espresse attraverso una scenografia semplice ed efficace con l’uso delle sedie volte ad esprimere i tormenti interiori dei personaggi, in cui la festa da ballo si traduce in un incubo da morte con il contrasto tra felicità e tragicità.

Alla fine, successo e grandi applausi per tutti e possiamo affermare con sicurezza che lo Sperimentale anche per quest’anno ha svolto più che egregiamente il suo ruolo formativo e sperimentale, nella dimensione di un teatro di tradizione e innovazione.