adriana lecouvreur a napoli

La cantante, la donna, la primadonna

 di Federica Fanizza

A distanza di tredici anni è stato riproposta al Teatro San Carlo di Napoli Adriana Lecouvreur di Cilea nel fortunato allestimento di Lorenzo Mariani con la direzione lirica e malinconica di Daniel Oren

NAPOLI 23 ottobre 2016 - È stato il gesto autorevole di Daniel Oren a tener bloccato il pubblico nelle battute finali all'ultima rappresentazione dell'Adriana Lecouvreur al Teatro San Carlo di Napoli nella pomeridiana della domenica 23 ottobre 2016. È bastato un cenno rivolto al pubblico che a stento stava trattenendo gli applausi per lasciar scorrere le ultime note del dramma; solo a bacchetta deposta, il direttore ha permesso che si levassero dalla sala gli applausi che hanno suggellato un successo caloroso nei confronti degli artefici di questo allestimento che risale al 2003 e che vide allora nelle vesti della tragica eroina la compianta Daniela Dessì, recentemente scomparsa.

“Sciolta da duolo io volo, io volo come una bianca colomba stanza, al suo chiaror”: queste sono ultime battute pronunciate in punto di morte dalla protagonista dell'opera che il librettista Arturo Colautti trasse dal dramma Adrienne Lecouvreur di Eugène Scribe e Ernest Legouvé per la musica da Francesco Cilea.

Tra le tante celebrazioni ricorrenti, il 2016 annovera anche quella dei centocinquant’anni dalla nascita di Francesco Cilea, calabrese formatosi a Napoli e poi direttore del Conservatorio di San Pietro a Majella. "Fra i tanti lavori che lessi in quel tempo, mi colpì quello di Scribe e Legouvé. La varietà dell’azione che potevano [sic] offrirmi situazioni nuove ed eleganti, la fusione della commedia e del dramma nella cornice dell’ambiente settecentesco (che conoscevo bene), il passionale amore della protagonista toccarono il mio cuore e accesero la mia fantasia" scrive il compositore della sua opera più celebre, andata in scena per la prima volta nel 1902 al Teatro Lirico di Milano, con Enrico Caruso nel ruolo di Maurizio, con successivi momenti di alterna fortuna. Doveroso omaggio della città d'adozione, quindi, a un musicista che si ritiene ultimo rappresentante della gloriosa scuola napoletana e lui stesso direttore del Conservatorio partenopeo dal 1915 al 1935.

Come afferma Oren stesso nel programma di sala, è sbagliato considerare Adriana un'opera verista, anche se nasce negli stessi anni in cui si affermò tale estetica: “la sua partitura è assolutamente priva dell'enfasi tipica di quel genere, è piena di delicatezze armoniche e di sfumature strumentali che l'avvicinano più a certe trasparenze dell'impressionismo francese, che all'accento dedico delle opere di un Mascagni o di un Leoncavallo”.

Su questa linea interpretativa Oren ha gestito la partitura cercando di far emergere dalla scrittura di Cilea i momento più intimi e lirici, prestando attenzione ai volumi dell'orchestra senza che questa prevaricasse sulle voce nelle parti più drammatiche. Conoscitore profondo della scrittura del compositore, il direttore israeliano ha saputo anche giocare con gli inserti di declamato quando la finzione teatrale entrava nel gioco della scena, enfatizzando il recitato e accentuando i momenti in cui la rabbia dei personaggi si esprimeva con pochi cenni vocali asciutti.

L'allestimento ideato ancora nel 2003 dal regista Lorenzo Mariani aderisce pienamente a questa linea interpretativa nel narrare la vicenda dell'attrice diva della Comédie-Française ammirata da Voltaire.

Collocandosi in una sorta di retropalco di un teatro all'antica, in modo da permette di gestire il sottile gioco metateatrale. L’impianto scenico di Nicola Rubertelli fa uso di praticabili e della ricostruzione di un minipalco su cui recita Adriana durante il monologo di Michonnet del I atto (la parte di Rossana nel Bajazet di Racine) e nel III atto; le luci sono curate da Claudio Schmid; i costumi di gusto d'epoca sono stati creati appositamente per questa ripresa da Giusi Giustino, responsabile della sartoria del teatro.

Invece dell'annunciata Anna Pirozzi, è stata chiamata a sostenere la parte della protagonista Barbara Frittoli: cantante di rango, impegnata su più fronti vocali, ha delineato un personaggio lirico più che drammatico e assecondato l'interpretazione di Oren, delineando le due personalità di Adriana, donna e attrice; nelle due arie “Io son l’umile ancella”, e “Poveri fiori,” ha saputo esprimere il lato più intimo e malinconico del personaggio, riservando i toni più drammatici a quei momenti la tragédienne prende sopravvento.

Al mezzosoprano Luciana d'Intino spettava il ruolo volitivo della principessa di Bouillon, rivale omicida, donna di potere, chiusa con un uomo più anziano in un rapporto coniugale di reciproche infedeltà, resa con giusta cattiveria e autorevolezza nel canto.

L'anello debole di questo allestimento è stato il tenore Gustavo Porta, il conte Maurizio di Sassonia, (sostituto di un annunciato Marcello Giordani), avvezzo al repertorio italiano fra fine '800 e primi del '900. Si è meritato gli applausi per aver portato a termine l'avventura senza grande finezza vocale, ma con vigore e impegno nella penuria attuale di voci tenorili spinte e drammatiche.

Sfaccettato e con tratti patetici delicati degni di nota il Michonnet reso con profondità teatrale da Alessandro Corbelli senza cadere nella caricatura o nel grottesco, così come l'abate d Chazeuil di Luca Casalin, in linea con i dettami della regia e della concertazione. Sostenuti da grande esperienza, Carlo Striuli, Elena Borin e Milena Josipovic, rispettivamente nei ruoli del principe di Bouillon, Mad.lla Jouvenot e Mad.lla Dangeville. Stefano Consolini, Paolo Orecchia e Luigi Strazzullo hanno completato il cast.

La parte coreografica a cura di Michele Merola era affidata ai solisti del corpo di ballo del teatro sancarliano.

Successo pieno e convinto da parte di un pubblico che però non ha riempito del tutto gli ampi spazi teatrali del San Carlo, lasciando qualche vuoto in platea e nei palchi.