West side story, torino

C’era una volta in America

 di Alberto Ponti

Il travolgente musical di Bernstein conquista Torino

TORINO, 7 dicembre 2016, Grandi foto in bianco e nero sullo sfondo a evocare la Manhattan più délabré degli anni ’50 e una gabbia metallica che assolve, con un po’ di fantasia, a tutti quadri del musical sono la scenografia, spoglia ma efficace, ideata da Joey McKneely sulla base della regia di originale di Jerome Robbins per la prima di Broadway del 1957, di questo West Side Story al debutto al Regio, in coproduzione con la compagnia tedesca BB Promotion, unica tappa italiana del Jubilee Tour per il centenario della nascita del compositore Leonard Bernstein che cadrà nel 2018.

Al resto provvedono le elettrizzanti, sempre geniali, spesso imprevedibili musiche di uno tra i più versatili e formidabili geni del Novecento, efficaci nel cogliere la quintessenza del mondo allo stesso tempo violento e ingenuo delle bande giovanili di New York dell’immediato dopoguerra.

L’allestimento del teatro torinese si avvale di cantanti e attori rigorosamente a stelle e strisce, assai abili nelle travolgenti danze che costituiscono l’ossatura di gran parte del lavoro secondo l’intenzione dello stesso Robbins, autore anche della coreografia proposta. Un pezzo di Midtown trapiantato con rigore quasi filologico in un grande teatro d’opera è dunque alla base di questa attesa performance, seguita da un pubblico caloroso e partecipe, che a partire da martedì 6 dicembre ha letteralmente gremito la splendida sala di Mollino, tributando ovazioni a scena aperta per i più celebri numeri del lavoro, da Maria ad America, da Something’s coming a I feel pretty.

Il meccanismo complesso del grande show funziona alla perfezione, a cominciare dai cantanti, con le parti di Tony e Maria, rispettivamente tenore e soprano in omaggio alla più consolidata tradizione europea, di gran lunga preponderanti rispetto a tutti gli altri personaggi. La coppia di sfortunati amanti, le cui vicende ricalcano, come è noto, quelle di Romeo e Giulietta, è interpretata da Kevin Hack e Jenna Burns, due voci ben impostate, gradevoli, calibrate su ruoli tecnicamente non difficili ma insidiosi per la tenuta richiesta in due ore di spettacolo. Entrambi i protagonisti hanno eccellenti capacità sceniche in grado di supplire a un timbro, soprattutto nel tenore, a tratti non eccezionale, mancante di un certo pathos in alcuni momenti chiave come nella grande scena d’insieme (Tonight) che precede la rissa in cui troveranno la morte Riff e Bernardo (interpretati da Beau Hutchings e Waldemar Quinones-Villanueva), capi delle fazioni rivali dei Jets e degli Sharks. Meglio la Burns, che sa passare dalla smagliante leggerezza nella scena del balcone del primo atto alla parte assai più drammatica che la scrittura di Bernstein le riserva nella seconda parte del musical, elevandosi ben al di sopra dell’onesta professionalità in cui sembra a volte indulgere il partner. Tra gli altri solisti si distinguono l’incisiva Anita di Keely Beirne e l’efficace poliziotto Krupke di Kenn Christopher.

Contrastanti con la scena essenziale e dominata dal grigio, i colorati costumi di Renate Schmitzer, mai volgari, danno un ulteriore tocco patinato all’insieme, cogliendo appieno lo spirito di una partitura che, sia pur strizzando l’occhio a certe convenzioni commerciali imposte dal genere leggero, snocciola pagine di suprema eleganza strumentale. L’orchestra del Teatro Regio è irrobustita per l’occasione con alcuni strumentisti arrivati da oltreoceano, tenuto conto dell’organico comprendente una sezione allargata di fiati (in cui emergono numerosi clarinetti e sassofoni suonati in alternanza dagli stessi musicisti) e di percussioni, capaci, sotto l’attenta direzione di Donald Chan, di integrarsi con naturalezza all’interno di una compagine più tradizionale. Lo stesso Bernstein d’altronde, con un pragmatismo tutto americano agli antipodi rispetto all’unità quasi sacrale del processo creativo della musica colta occidentale, ricorse per l’orchestrazione dell’opera al prezioso contributo di due arrangiatori come Sid Ramin e Irwin Kostal, a lungo attivi anche a Hollywood.

Il pieno successo della serata, misurato da venti minuti di applausi ininterrotti, dimostra come una programmazione con puntate su generi diversi, anche all’interno di cartelloni giustamente improntati a un repertorio tradizionale, in un paese come l’Italia che ha contribuito più di ogni altro all’evoluzione dell’opera lirica, può essere una strada percorribile senza difficoltà per avvicinare quella parte del grande pubblico che, frenata da un certo timore reverenziale, si accosta ancora troppo poco ai nostri teatri.

foto Nilz Böhme