Il trovatore, Teatro Lirico di Cagliari

Stregati dalla luna

 di Giovanni Andrea Sechi

Il trovatore chiude la stagione lirica 2016 del Teatro Lirico di Cagliari: non sempre all’altezza la compagnia di canto. Risolleva le sorti dello spettacolo il suggestivo allestimento firmato da Stefano Poda. Impeccabile è la compagine strumentale e vocale dell’ente sardo sotto la direzione di Giampaolo Bisanti.

CAGLIARI, 28 dicembre 2016 – La stagione lirica 2016 si era aperta sotto i migliori auspici: con La campana sommersa di Ottorino Respighi (leggi la recensione), l’ente cagliaritano non solo recuperava un rarissimo titolo del Novecento, ma sembrava tornare a quei fasti ‑ recenti nel tempo, ma così lontani se si pensa alla conclamata crisi del settore ‑ in cui la programmazione artistica era davvero ambiziosa e di alto livello.

Anche per Il trovatore, titolo di chiusura della stagione, si pregustava, se non la rarità d’esecuzione, una locandina invitante e qualche debutto di richiamo. Purtroppo le cose sono andate diversamente: dall’annuncio della stagione ai mesi successivi son via via scomparsi i nomi più accattivanti (Giuseppe Filianoti come Manrico, Sonia Ganassi come Azucena), fino a giungere alla locandina nella veste attuale.

Nonostante le premesse, non delude il versante femminile della compagnia di canto: Daniela Schillaci (Leonora) è musicalmente corretta e pienamente partecipe del proprio personaggio. Forse il colore e il peso vocale non è quello più congeniale all’eroina verdiana, ma l’interprete si distingue per la varietà dell’accento e l’uso scolpito della parola (una vaga reminscenza di Renata Scotto sembra balenare talvolta in maniera compaciuta). Puntature d’ordinanza e mezze voci flautate impreziosiscono una lettura del ruolo encomiabile.

Ottima prova per Enkelejda Shkosa (Azucena), benché più guardinga nell’emissione vocale, specie nella tessitura medio-grave. Il mezzosoprano albanese spicca su tutti per la presenza scenica magnetica e una grande cura nell’interpretazione. La resa del lato materno del ruolo è privilegiata, vista la natura della sua vocalità, ma non spiace nel complesso.

Se il minimo sindacale per vestire i panni di Manrico è avere dei Do saldi (e reggere l’intera parte), allora Massimiliano Pisapia non può che essere una garanzia. Parlando di ampiezza e di timbro dello strumento è doveroso riscontrare che anche il tenore non è proprio di casa in questo ambito. Tuttavia, proprio dove le aspettative dell’ascoltatore sarebbero basse, invece c’è la sorpresa: una certa autorevolezza nel fraseggio, la capacità di smorzare e porgere in maniera mai scontata, rendono la sua lettura del ruolo più che apprezzabile.

Non convince Mikolaj Zalasinski (Conte di Luna): una vocalità adatta alla parte, ma troppo spesso afflitta da affaticamenti che si manifestano in una scarsa attenzione alla dizione, una tendenza a ignorare la bacchetta nei momenti più impegnativi.

Professionale e commisurato all’impegno della propria parte è l’apporto di Luca Dall’Amico (Ferrando), Lara Rotili (Ines), Mauro Secci (Ruiz).

Dal punto di vista visivo, chi si aspettava un Trovatore tradizionale con torrioni merlati e abiti cavallereschi polverosi potrebbe non apprezzare l'allestimento essenziale di Stefano Poda, che firma regia, scene, costumi, luci: tanto essenziale da far pensare a una mise en espace in alcuni momenti (campeggiano sulla scena una gigante mano confitta e una luna delle stesse dimensioni, su una pedana semovente: l’azione si svolge in mezzo a esse o al loro limitare). Tanti sono gli aspetti che invece fanno apprezzare questo allestimento: la parsimonia delle risorse in scena non è un difetto quando le idee sono rese in maniera leggibile. Il regista coglie in maniera esatta l'atmosfera crepuscolare del titolo verdiano, con un uso sapiente dei colori e della luce che investe la scena e assolutamente suggestivo è il colpo d’occhio nella scena della monacazione di Leonora.

Impeccabile e solida è la prova dell’Orchestra e Coro del Teatro Lirico di Cagliari, diretti da Giampaolo Bisanti. Qualche antipatico taglio di tradizione (perché quelle poche battute al termine del terzetto «Di geloso amor sprezzato» sembrano esser scomode a così tanti direttori?) viene compensato da altrettanti tagli aperti. La direzione si distingue per un sostanziale equilibrio tra buca e scena, in sintonia con le capacità e le esigenze della compagnia di canto.