Elektra

Elektra delle donne

 di Francesco Lora

Alla Bayerische Staatsoper non è nuovo l’ormai storico spettacolo tutto firmato da Wernicke. Lo è però l’ultima lettura musicale, tutta impetuosamente declinata al femminile, della Young, della Stemme, della Merbeth e della Soffel.

MONACO DI BAVIERA, 17 febbraio 2017 – L’Elektra di Richard Strauss con regìa, scene, costumi e luci di Herbert Wernicke è, da un quarto di secolo a questa parte, un pezzo forte nel patrimonio della Bayerische Staatsoper. Odora non certo di nuovo, ma già di perpetuo, con quell’essenzialità di bozzetti e figurini senza epoca, la tricromia arrogante di nero, rosso e bianco restii alla sfumatura, l’immane pannello ruotante in diagonale sul fondo, i fiammeggianti angoli di scena schiusi al di là di esso, l’isolata libertà di far stramazzare la protagonista non per l’irresistibile esultanza della vendetta conseguita, bensì con un suicida colpo di scure che la unisce ritualmente nella sorte tanto al padre quanto alla madre; e risaputo ma prezioso è il dettaglio del manto regio usurpato da Klytämnestra, tagliato nello stesso velluto e con i medesimi ricami d’oro del sipario del teatro monacense, il quale sembra così integrarsi e partecipare con i propri apparati a quelli della corona atride.

Una novità è invece la locandina degli interpreti principali, così come riassortita per le tre recite del 10, 13 e 17 febbraio: locandina con la curiosità e poi gli onori di uno sbalorditivo monopolio femminile, che dai tre ruoli principali si estende a una gran signora della direzione d’orchestra. Si tratta dell’australiana e ormai matura Simone Young, già direttore musicale alla Staatsoper di Amburgo, oggi perlopiù divisa tra vertici del mondo musicale germanofono quali Amburgo stessa, Berlino, Dresda, Francoforte, Monaco, Vienna e Zurigo, nondimeno poco conosciuta in Italia come pure nelle altre terre latine. Nel teatro della capitale bavarese ella gode della Staatsorchester, compagine strumentale meno nota di altre formazioni filarmoniche tedesche, e che tuttavia è un capolavoro di equilibrio fra le diverse sezioni. Di suo la Young aggiunge, con analisi lucida e tagliente, gesti musicali decisi e feroci, dritti al punto e senza eccessi, ricordando persino la sintesi sovrana di Karl Böhm.

Esuberante e a tratti inusuale il terzetto di punta, rispetto al quale tutto il validissimo comprimariato – e persino il baritono Johan Reuter, capace di un Orest smaltato e commosso – rimane a compunta e fors’anche intimorita distanza di rispetto. Protagonista è Nina Stemme, Elektra di debutto recente e però nata a dominare nel mercato odierno della parte: personaggio introverso e registro acuto esitante, ma straordinaria scultura d’accento, velluto inconfondibile nei centri, solidità d’emissione e continuità timbrica anche là dove la scrittura è fatta per disintegrare l’organizzazione. Stupisce, al suo fianco, Ricarda Merbeth: non la Chrysothemis virginea e ignava della tradizione, ma una seconda possente Elektra, con lei alleata negli esaltati scatti quand’anche a parole confessi altro. Infine la veterana Doris Soffel come Klytämnestra, affiochita nel canto ma non nelle grida di sventramento, sottile cesellatrice di un personaggio allucinato e sfuggente. L’eccellenza del far repertorio.

foto © Wilfried Hösl ( immagini di repertorio)