the raven

Il canto dell'angoscia

 di Federica Fanizza

In prima rappresentazione italiana l'atto unico The Raven di Toshio Hosokawa dal poema omonimo di E. Allan Poe, per la rassegna Opera 20.21 della Fondazione Haydn di Bolzano e Trento

BOLZANO, 3 marzo 2017 - Dal punto di vista drammaturgico The Raven di Toshio Hosokawa sfugge a qualsiasi definizione: melologo, se si privilegia l’aspetto della voce e della parola declamata, monodramma se ci si lascia suggestionare dal canto e dalla musica. Il poema stesso di Poe Il Corvo, scritto nel 1852, è un dialogo interiore che esprime la visione di un mondo mentale in costante bilico sull’abisso della follia, diviso tra il ricordo e l'angoscia esistenziale proiettata nella memoria dell'amata morta, presenza evocata dal richiamo lugubre del corvo, quel “nevermore”, chiusa incessante in ogni strofa del poema, che si trasforma in grido nel dramma musicale.

La musica di Hosokawa dà corpo, con il suo stile teso e sospeso, con una scrittura atonale alternata a distesi momenti tonali, a una vocalità che fluttua tra declamato e canto, pienamente aderente allo stato di angoscia e di allucinazione che connota il poema. Il compositore giapponese, classe 1956, ha compiuto studi a Darmstadt e a Parigi; è presenza nota in Italia, avendo vinto nel 1980 il premio Valentino Bucchi di Roma, invitato nel 2009 al Festival musicale MITO e già conosciuto a Bolzano per alcuni incontri seminariali di musica contemporanea. Il suo stile, oltre a guardare alle sperimentazioni delle avanguardie più estreme del '900, tiene saldo il legame con l’antica tradizione del Teatro Nō giapponese, in cui il mondo extra sensoriale e il rapporto fra reale e immaginazione hanno particolare importanza. In questo modo il monodramma di Hosokawa riesce a materializzare, tramite i suoni, la mente in bilico e le allucinazione del poema di Poe.

Il regista Luca Veggetti ha ripensato l’allestimento da lui creato nel 2014 al Lincon Center di New York per lo spazio più raccolto del Teatro studio del Comunale di Bolzano. Una semplice pedana leggermente inclinata è sapientemente tagliata dalle luci dello stesso scenografo Clifton Taylor, con proiezioni geometriche che creano uno spazio d’astrazione. I semplici costumi sono di Kathrine Dorigo. In questo spazio agisce il mezzosoprano Abigail Fischer che, dotata di notevoli capacità atletiche e vocali, è parte attiva nelle coreografie affidate alla danzatrice Alice Raffaelli. È questa una presenza non prevista nei precedenti allestimenti e le spetta il compito di segnare lo spazio di azione della cantante, esplicando il dualismo tra memoria e stati di allucinazione. Diretto da Yoichi Sugiyama, l'ensemble dei Solisti dell’Orchestra Haydn dimostra sempre appropriarsi con sempre maggior sicurezza dei linguaggi contemporanei.

Ha fatto da preludio al monodramma un breve lavoro dello stesso Hosokawa, Atmen-Lied per flauto basso eseguita dall'esperto Manuel Zurri. Per volere stesso del regista, al fine di non distogliere il pubblico dalla tensione del dramma, non sono stati previsti sottotiloli. Breve e intensa, la rappresentazione (nel complesso sessanta di musica) è stata accolta da parte del pubblico, con prevalenza giovanile di madrelingua tedesca, con applausi convinti indirizzati a tutti gli artisti.