L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Fiorenza Cedolins, Tosca

In balìa degli eventi

 di Silvia Campana

Non sviluppa a dovere le intriganti premesse l'allestimento firmato dal regista Giovanni Agostinucci per Tosca al Filarmonico di Verona. Nel cast, l'esperienza di Fiorenza Cedolins, la baldanza di Murat Karahan, l'efficacia teatrale di Giovanni Meoni, sul podio Antonino Fogliani.

VERONA, 21 marzo 2017 - Difficilmente definibile l'allestimento ripreso da Giovanni Agostinucci per la Fondazione Arena di Verona in occasione di questa Tosca perché ciò che si presenta ai nostri occhi risulta essere uno spettacolo senza dubbio registicamente curato ma che tradisce una doppia anima che sembra affiancare momenti di ottimo teatro (entrata di Scarpia) a momenti di ripetitiva scontatezza (lotta greco-romana nello studio di Scarpia) sfocianti in intuizioni che, forzando sterilmente lo spirito della partitura, sconcertano e deludono (suicidio di Tosca).

L'idea del regista è indubbiamente quella di voler creare uno spettacolo teatralmente cesellato che doni nuove intuizioni all'interno di una cornice tradizionale e infatti sembra creare uno spazio artisticamente astratto nel I atto, sostituendo alle colonne barocche di S. Andrea della Valle pesanti tendaggi che veicolano un'atmosfera di indefinito languore che sembra sfumare i contorni e che solo con l'entrata di Scarpia muta e s'immobilizza, spostando l'attenzione sulla sua figura e sul suo torbido e indefinito potere che viene adorato, con santa devozione, dal popolo (Te Deum).

Col procedere degli atti, però, la 'piéce' sembra allontanarsi dalle sue lusinghiere premesse, per tornare a proporre una visione ad oggi più che desueta, descrivendo uno Scarpia esteta e narciso in uno studio che lo rappresenta e davanti al quale Tosca appare indecisa.

In questo senso la lettura del personaggio del titolo ci è sembrata molto incerta. A metà tra una diva del muto e una donna la cui fragilità appare subito al suo ingresso, Tosca, motore insieme a Scarpia del dramma, sembra agire perennemente spinta dalle circostanze. A tratti infantile, a tratti seduttiva con gli uomini che la circondano, la protagonista sembra esprimersi totalmente, gettata la maschera della convenzione, solo con l'atto omicida, mostrato anch'esso come superficialmente reattivo.

Certo, può essere una chiave interpretativa interessante, ma, se non attentamente delineata, rischia di confondere il gioco drammatico perdendo la sua efficacia. La chiusa, poi, lascia esterrefatti e, dopo un'apertura del III atto in cui il blu copiativo del cielo e il buio in palcoscenico quasi suggerivano l'imminente dramma, tradisce, con uno sterile théâtre il personaggio che cerca la morte gettandosi, novello Saul, sulle baionette dei soldati.

Ciò che resta, dunque, è l'amaro in bocca per uno spettacolo dalle interessantissime premesse e intuizioni ma non sufficientemente approfondito.

Fiorenza Cedolins, nel ruolo del titolo, aderisce perfettamente con la sua spiccata teatralità ai dettami della regia, delineando una protagonista per certi aspetti inquietante nei suoi forti contrasti. Maggiormente a sua agio nei momenti lirici, la sua calda e avvolgente vocalità si dipanava con ricercata misura timbrica superando le difficoltà incontrate in partitura con l'attenta professionalità che da sempre la contraddistingue.

Possente, ma poco convincente il Mario Cavaradossi interpretato dal tenore Murat Karahan che, pur sfoggiando un buon timbro e un registro acuto tonante, preciso quanto ben dominato, mostrava una tecnica che nei centri e nel passaggio gli impediva di curare a dovere il fraseggio a scapito di un'interpretazione che non può essere risolta solo ed esclusivamente sotto un profilo eroico in quanto il personaggio di Mario conosce innumerevoli slanci lirici.

Interessante dal punto di vista prettamente teatrale lo Scarpia delineato dal baritono Giovanni Meoni, il quale, pur dotato di una vocalità dal timbro abbastanzo chiaro e un po' sfibrato in acuto, mostrava consistente drammaticità e giusta presenza scenica. Così il suo personaggio viveva di sfumature e indubbiamente risultava, nel suo complesso, più che efficace.

Molto bene il sacrestano interpretato dal baritono Mikheil Kiria e in linea il resto del cast: Gianluca Lentini (Angelotti), Andrea Cortese (Sciarrone), Antonello Ceron (Spoletta), Daniele Cusari (un carceriere) e Stella Capelli (un pastore).

Il m° Antonino Fogliani, pur nell'ambito di una direzione rigorosa, imponeva tempi eccessivamente rapidi che, in più di un'occasione, hanno rischiato di compromettere il giusto amalgama con coro e, soprattutto, solisti.

Sostanzialmente a posto il Coro della Fondazione Arena diretto dal M° Vito Lombardi ed il Coro di voci bianche A.d'A.MUS. diretto dal M° Marco Tonini.

Sala gremita, segnaliamo peraltro una massiccia presenza di scolaresche diligenti e disciplinate, segno di un progetto formativo da parte della Fondazione che sta dando i suoi frutti, e applausi per tutti gli interpreti e il direttore.

foto Ennevi


 

 

 
 
 

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