L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

svetla vassileva e aquiles machado

Alla corte di Eboli

 di Giovanni Andrea Sechi

Arriva al Teatro Carlo Felice l’allestimento di Cesare Lievi, coprodotto con il Teatro Regio di Parma. Nella compagnia di canto riscuotono grande successo personale Giovanna Casolla e Riccardo Zanellato (al debutto come Filippo II). Sul podio entusiasma Valerio Galli, la rivelazione di questa produzione (dedicata alla memoria di Daniela Dessì).

GENOVA, 30 aprile 2017 ‑ Arriva anche al Teatro Carlo Felice la produzione firmata da Cesare Lievi, già data al Festival Verdi lo scorso autunno (leggi la recensione). Chi ama le luci fredde non troverà spiacevoli i fondali marmorei e i pochi arredi sacri sulla scena (gli inginocchiatoi, un altare usato come scrivania da Filippo II). Meritano una menzione i bei costumi firmati da Maurizio Balò (assistito da Marianna Carbone): l’opulenza di questi ben si sposa con l’atmosfera funebre che domina nella corte spagnola. Non tutte le scelte della regia, però, si mostrano riuscite, come quando si rinuncia a creare un’ambientazione coerente con il libretto (i giardini della Regina sembrano uno spazio condominiale desolato), nonché quando la gestione dei movimenti e degli effetti è carente (le proiezioni video non partono quando dovrebbero). Si fa difficoltà a digerire Filippo che malmena Posa nel duetto, Eboli che si graffia in viso fino a farsi sanguinare («O don fatale»), le ombre delle maschere veneziane che vagano per la scena, i petali che piovono durante la scena di Elisabetta («Tu che le vanità»)…

Per fortuna arrivano maggiori soddisfazioni dalla compagnia vocale, interamente rinnovata rispetto a Parma. Di Aquiles Machado (Don Carlo) si lodano la dizione nitida e le mezze voci (specie in tessitura centrale, laddove la voce è sempre timbrata e ha un colore più suadente). La sua vocalità mostra il fianco laddove la parte richiederebbe slancio e sicurezza in acuto. Le voci maschili gravi si distinguono per la maggiore prestanza: bella prova per Franco Vassallo (Posa), che offre una lettura solida della sua parte, né si mostra titubante in acuto (solo qualche incertezza durante la scena della morte); musicalità e senso della misura sono qualità che si ravvisano in Riccardo Zanellato (Filippo II), che ritrae un monarca spagnolo autorevole, non eccessivamente arcigno e caricato; carisma e ottimo volume si riscontrano in Marco Spotti (Il grande inquisitore).

In questa produzione sarebbe dovuta comparire Daniela Dessì nella parte di Elisabetta. In seguito alla sua scomparsa ‑ avvenuta lo scorso 20 agosto ‑ il teatro ha dedicato alla sua memoria lo spettacolo. Al suo posto è subentrata Svetla Vassileva: ella è disinvolta sulla scena e offre il meglio nei momenti più espressivi, regalando dei pianissimi eterei. Dispiace trovarla un po’ evanescente quando l’orchestra richiederebbe maggiore incisività al canto. Trionfa Giovanna Casolla (Eboli), col temperamento vulcanico che da sempre la contraddistingue. La sua Eboli è la dimostrazione che la longevità vocale si alimenta con lo studio, e con la scelta di un repertorio consono alla propria corda (risale al 1976 la presa del ruolo). Non manca di novità la sua ultima prova: emoziona la presenza scenica trascinante, la “Canzone del velo” con agilità maliziosamente a fior di labbro, «O don fatale» come un torrente in piena.

Professionalità e qualche giovane speranza nelle parti comprimarie: si distinguono con merito Mariano Buccino (Un frate), Didier Pieri (Conte di Lerma; Un araldo), Marika Colasanto (Tebaldo), Silvia Pantani (una voce dal cielo).

Garantisce l’esito felice della serata la concertazione di Valerio Galli: impeccabile negli attacchi, negli equilibri tra buca e palcoscenico, attento al ritmo narrativo e a valorizzare le parti strumentali interne. Anche quando le voci inciampano in qualche difficoltà Galli sa come aiutarle senza mai sacrificare il dettato verdiano. Si spera di ritrovarlo più spesso in questo repertorio (e magari anche in un più ambizioso Don Carlo in cinque atti). Con la sua guida, l’Orchestra e il Coro del Teatro Carlo Felice si mostrano compatti e particolarmente ricettivi.

Allestire un Don Carlo è una grande sfida per un teatro: lo afferma senza giri di parole il sovrintendente Maurizio Roi (nel suo intervento prima dell’apertura del sipario). A giudicare dal gradimento del pubblico si può dire che l’esperimento sia riuscito (almeno dal punto di vista musicale).

foto Marcello Orselli


 

 

 
 
 

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