Ian Storey

Il mare dentro

 di Roberta Pedrotti

Magnifico debutto di Peter Grimes al Comunale di Bologna: la concertazione di Juraj Valčuha è punto di forza della produzione, con l'accurata regia di Cesare Lievi.

BOLOGNA, 20 maggio 2017 - Non ci si sbagliava quando, all’annuncio della stagione, già si presagiva in Peter Grimes uno dei vertici, se non il vertice, del cartellone lirico bolognese. Il debutto del primo capolavoro di Britten è stato tardivo sul palcoscenico del Comunale, ma ben onorato soprattutto in virtù del coinvolgimento di una delle migliori bacchette applaudite a Bologna negli ultimi anni e, in generale, una delle punte di diamante della sua generazione: Juraj Valčuha.

Peter Grimes è forse, e non solo per la meritata diffusione concertistica dei Four Sea Interludes, l’opera di Britten di maggior respiro sinfonico ed esige un direttore di classe autentica, guida precisa e sicura e interprete sensibile e profondo nel cogliere la formidabile teatralità di un testo ambiguo, elusivo, realistico e simbolico nel suo sviluppo tutto psicologico. Valčuha è quel direttore, è l’uomo giusto al posto giusto al momento giusto e lo dimostra la prova eccellente di un’orchestra concentrata, motivata, ispirata. Non solo tutto è esatto e tutte le sezioni danno il meglio con sonorità ben tornite, ma dalla buca sentiamo veramente palpitare quel mare che è il fulcro e l’emblema dell’intera opera. Sentiamo la placida risacca, sentiamo i flutti gonfiarsi, gorghi oscuri incombere, foschie inghiottire uomini e sensi. Mirabile è la cura con cui Valčuha delinea la ciclicità della partitura e nel finale, quando tutto torna all’irreale calma dell’inizio, il suono sembra inesorabilmente inondare il borgo e l’anima, la scena e la sala, per poi spegnersi in un pianissimo denso e soffuso come la nebbia del mattino, e lascia senza fiato. Altrove il maestro di Bratilsva sa bene come dosare sarcasmo (“Good night, good people, good night!”), ferocia (nel canone "Old John", perfino nei rintocchi del secondo interludio Sunday Morning o in quelle gocce tintinnanti nel terzo, Moolight, in maniera sempre più ossessiva), rendendo agghiaccianti e memorabili le esplosioni del Borgo deciso a punire Grimes in virtù di pregiudizio e sospetto (“Now is gossip put on trial” e “Who holds himself apart”). Nondimeno, il dolore del sublime quartetto femminile “From the gutter, why should we” è distillato con una dolcezza così intima da risultare tagliente, in cui nulla si concede all’esterno e tutto si rapprende nella delicata polifonia degli ultimi, della maestrina rea di essere amica di Grimes, delle prostitute con cui passare ogni sera ma da disprezzare alla luce del sole, fuori dal pub.

Magnifico, non meno che magnifico è il lavoro di Valčuha nel delineare con intelligente delicatezza le contraddizioni di questi tipi umani, le loro doppiezze, le loro maschere e le spietate dinamiche sociali, abbracciate e comprese da quel mare che dà vita e morte al Borgo, da quella Natura ineffabile che lo circonda, ma che riposa anche nell’animo di ciascuno e pare manifestarsi solo in Grimes, il diverso che sogna e non nasconde le proprie emozioni, non controlla i propri scatti d’ira, il proprio orgoglio, la propria ansia di uniformarsi, l’impossibilità di farlo.

L’eccellenza della concertazione di Valčuha trova buona risposta nella regia di Cesare Lievi, nata qualche anno fa fra Modena Ferrara e Ravenna: la scena di Csaba Antal, ben illuminata da Luigi Saccomandi, è apparentemente realistica, con le sue casette in legno attorno al molo, ma è chiaro che questo sia solo uno spazio simbolico, la maschera del villaggio, il suo feticcio, una piazza dove tutto è sotto gli occhi di tutti e il suo cuore, il porto, è in secca, agibile anche sotto il pontile, ché il mare è dentro a ciascuno, è presenza invisibile e ineluttabile. La maschera del Borgo è anche quella che ciascuno porta nei costumi di Marina Luxardo: raramente gli abitanti dismettono la loro divisa professionale, il ruolo che li identifica, e tutti, fatto salvo il camice del farmacista, sono in abiti scuri, nei toni del grigio e del marrone, mentre il solo Peter Grimes veste di bianco. Tutta la recitazione dei singoli (compreso il piccolo apprendista John) è curata nel dettaglio sempre in equilibrio fra realismo umano e maschera simbolica, con chiarissima attenzione al dipanarsi dei rapporti, ai piccoli gesti che in quest’opera hanno sempre fondamentale importanza (la mano di Ellen che cerca Peter, lui che la fugge ma la rimpiange), mantenendo sempre quel sobrio contegno in cui si esplicita la poetica dell’allusione e dell’elusione su cui si fonda la drammaturgia del Peter Grimes.

Ecco allora che tutti quei personaggi già portatori di temi e valori cardine del teatro di Britten (la missione salvifica e il fallimento tragico di Ellen saranno quelli della Governess, i tipi del villaggio rivivranno in gran parte in commedia in Albert Herring, altro diverso nella sua comunità) trovano perfetta realizzazione nel folto cast radunato per l’occasione: dal rigido carrettiere Hobson di Luca Gallo al farmacista Ned Keene (Maurizio Leoni) con la sua sicumera, dalla religiosità fanatica di Bob Boles (Paolo Antognetti) a quella opportunista e accomodante del reverendo Adams (Saverio Bambi), dalla dalla superbia di Mrs Sedley con le sue velleità da Miss Marple (Kamelia Kader) e dalla doppiezza del sindaco Swallow, parente stretto del Moralista di Alberto Sordi, impersonato da John Molloy alla franchezza di una Auntie disincantata ma non cinica (Gabriella Sborgi) con le sue “nipotine” (Chiara Notarnicola e Sandra Pastrana) semplici ma non sciocche. Mark D. Doss, poi, è ancora una volta Balstrode, l’ex capitano che ha viaggiato, che sembra avere una mentalità più aperta e comprendere Grimes, ma sarà anche colui che gli consiglierà (pietosamente?) il suicidio. La voce, è vero, è sempre stata un po’ ruvida, ma ben si confà al vecchio lupo di mare e l’efficacia di un interprete che si è intelligentemente specializzato in questo repertorio fa il resto. D’altra parte, anche Ian Storey, nei panni del protagonista, ha ormai uno strumento graffiato dal tempo e dall’assidua frequentazione di ruoli monstre come Hermann (Pikovaja Dama) e Tristan. Qualche ruga vocale era prevedibile, così come qualche suono spinto, ma il tenore riesce a mettere a frutto le sue qualità con il sostegno di Valčuha per delineare accuratamente un Grimes particolarmente aspro, spiccio, stanco, nondimeno il tappeto sonoro steso dal direttore permette di giocare a dovere “Now the grest Bear and Pleiades” e tutti i passi in cui la voce deve farsi diafana e accarezzare il falsetto.

Perfetto contraltare dell’intima sconfitta del sognatore Peter Grimes è la fragilità di Ellen e dei suo progetti salvifici: Charlotte-Anne Shipley la rende perfettamente con un lirismo chiaro e lieve che ha il suo apice naturale nella dolorosa e disillusa aria del ricamo.

Il coro del Comunale, preparato da Andrea Faidutti, si presenta al suo meglio, sia per la partecipazione teatrale, sia per la precisione, la compattezza, la qualità musicale e vocale.

Non resta che sperare di vedere più spesso spettacoli di questo livello: se il Teatro ha il coraggio di proporli con costanza il pubblico abbandonerà ogni diffidenza, come già è avvenuto a questa seconda recita accolta con grande attenzione e favore; bacchette d’autentico valore come quella di Valčuha, poi, sono il miglior viatico per il futuro di un’istituzione musicale.

foto Rocco Casaluci