L’Ape musicale

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Il ritorno di Jenufa

 di Joel Poblete

Torna a Santiago, dopo quasi vent'anni da debutto cileno, Jenufa di Janacek a inaugurare la stagione del Teatro Municipal.

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SANTIAGO del CILE, 12 maggio 2017 - Nell'ambito dell'importante rilancio internazionale, nell'ultimo mezzo secolo, per la produzione operistica di Leoš Janáček, la sua emblematica Jenufa è apparsa in Cile nel maggio del 1998 quale inaugurazione della stagione lirica del Teatro Municipal de Santiago ed è stata la prima opera ceca eseguita su queste scene.  

Quasi vent'anni dopo, nuovamente inaugurando la stagione in maggio, ma in una nuova messa in scena coprodotta con il Teatro Colón de Buenos Aires, l'opera è tornata al Municipal. E oggi il pubblico può apprezzarla con un po' più di esperienza nel repertorio ceco, giacché negli ultimi tempi hanno si sono avuti i debutti locali di altri titoli fondamentali nati in quelle latitudini: Katia Kabanova, pure di Janáček, e Rusalka, di Dvořák, cui erano state affidate le inaugurazioni delle stagioni liriche, rispettivamente, del 2014 e del 2015. 

Sensibile e umano, capace di turbare ed emozionare gli spettatori, l'argomento dà luogo a una partitura meravigliosa, piena di sfumature, dettagli e contrasti sonori, dispiegando un grand'effetto teatrale, dal nervosismo dell'inizio al finale catartico.

Senza dubbio, una grande sfida per un regista, e in questa occasione il Municipal ha coinvolto una vera autorità: l'argentino Jorge Lavelli, stabilitosi da più di cinquant'anni in Francia e nome di riferimento del mondo teatrale e operistico europeo da vari decenni. A ottatacinque anni, Lavelli infine ha debuttato con la prima Jenufa della sua illustre carriera (ed è solo la second avolta che affronta Janáček: la prima era stata nel 1986, con Il caso Makropulos, al Colón di Buenos Aires). 

Nonostante l'indiscusso prestigio internazionale e sebbene la critica locale specializzata abbia elargito grandi elogi, personalmente Lavelli non mi ha entusiasmato del tutto con questo suo lavoro, anche se si può dire sia andato in crescendo: il primo atto è parso il meno compiuto, perché la tensione non è stata sufficientemente sviluppata nei movimenti e negli atteggiamenti dei protagonisti, mancando di fluidità nei momenti d'assieme; sebbene nel secondo pure si sia notata l'assenza di una maggior definizione e di un uso più cocnreto dello spazio scenico, ad ogni modo ha fatto sì che fosse percepibile la tragedia, culminando in un terzo atto decisamente appropriato e intenso, con buon ritmo e gestione convincente dei personaggi e del coro, che giustificava, nel complesso, l'entusiasmo finale del pubblico. Esaltata dalle luci dello stesso regista in collaborazione con Roberto Traferri, la produzione presenta una concezione minimalista, come appare anche dalle austere scenografie di Jean Haas, che ha fatto ricorso a scarni elementi, per quanto i costumi accattivanti ed elaborati di Graciela Galán abbiano contribuito a delineare un riferimento estetico più definito.

Se, al netto di qualche limite teatrale e di una concertazione entusiasta ma irregolare da parte del titolare della Filarmónica de Santiago (il russo Konstantin Chudovsky, che non ha sempre ben equilibrato voci soliste e orchestra, senza sviluppare tutto l'immenso potenziale di quesa partitura), la produzione si è conclusa con un saldo positivo è stato grazie al buon lavoro musicale e scenico dei cantanti, a partire da quella che è stata meritatamente la sua applaudita: l'eccellente mezzosoprano tedesco, al debutto in Cile, Tanja Ariane Baumgartner, che incarnava Kostelnicka, la "Sacrestana". Con mezzi potenti ha affrontato un ruolo esigente sotto il profilo vocale (suole esser cantato da soprani drammatici) e un'autentica sfida attoriale, vinta con grande coinvolgimento drammatica senza scivolare nell'eccesso o nella caricatura. Come si sperava, ha sviluppato a meraviglia la climax del secondo atto, emozionante nel suo monologo e convincendo anche per la bella linea vocale nella sua conversazione con Steva. Una cantante in ascesa, già apparsa al Covent Garden di Londra o al Festival di Salisburgo, e che quest'anno debutterà al Festival di Bayreuth, come Fricka nella Walküre

Da parte sua, dopo Kat'a Kabanova e Rusalka, il soprano russo-statunitense Dina Kuznetsova è tornata a inaugurare la stagione lirica del Municipal come protagonista di un'opera ceca. Per la terza volta la vediamo sofferente e malinconica, attrice convincente ma anche cantante dal timbro accattivante. Con lei è tornato il suo partner della Rusalka del 2015, il tenore slovacco Peter Berger; allora era il Principe, oggi è Laca, ruolo molto puù interessante e psicologicamente compless, che gli ha permesso anche di sortire una migliore impressione come cantante, superando assai bene le esigenze della tessitura. Al debutto al Municipal, il suo compatriota, pure tenore, Tomáš Juhás, è stato un efficace Steva, un po' esagerato nei movimenti del primo atto, migliorando molto nei due seguenti. 

Oltre agli interpreti internazionali, bisogna sottolineare il lavoro eccellente dei cantanti cileni, tanto nel caso del Coro diretto da Jorge Klastornik quanto in quello dei solisti impegnati negli altri nove ruoli dell'opera, a partire dall'unica già presente al debutto assoluto di Jenufa in Cile: il mezzosoprano Lina Escobedo, nel 1998 era stata la zia della protagonista e ora è stata una nonna Buryjovka di qualità, presente e coinvolgente. 

I confronti son sempre ingrati, ma a titolo personale non posso non rilevare che questo ritorno di Jenufa non è riuscito a superare l'indimenticabile produzione del 1998, che grazie a un'efficace messa in scena di Roberto Oswald, una elettrizzante concertazione di Jan Latham-Koenig e a un cast solido e notevole è entrata per sempre fra i miei migliori ricordi operistici al Municipal. 

foto Patricio Melo


 

El regreso de Jenufa, el friunfo de la  Kostelnicka

  por Joel Poblete 


Regresa en Santiago, casi dos décadas después el estreno chileno, Jenufa de Janacek inaugura la temporada del Teatro Municipal.

SANTIAGO de CHILE, 12 de mayo 2017 - En el marco del importante auge internacional que durante el último medio siglo ha experimentado el repertorio operístico de Leoš Janáček, su emblemática Jenufa recién debutó en Chile en mayo de 1998, inaugurando la temporada lírica de ese año en el Teatro Municipal de Santiago, y convirtiéndose de paso en la primera ópera checa que se interpretaba en ese escenario.  

Casi dos décadas después, nuevamente inaugurando la temporada de ópera en mayo, pero en una nueva puesta en escena, co-producida con el Teatro Colón de Buenos Aires, la obra está de regreso en el Municipal. Y ahora el público puede apreciarla con un poco más de conocimiento directo en el repertorio checo, pues en el último tiempo han debutado ahí a nivel local otros dos títulos indispensables surgidos de esas latitudes: Katia Kabanova, también de Janáček, y Rusalka, de Dvořák, que tuvieron la misión de inaugurar las temporadas líricas de 2014 y 2015, respectivamente. 

Sensible y humano, capaz de remecer y emocionar a los espectadores, el argumento cuenta con una maravillosa partitura, llena de matices, detalles y contrastes sonoros, desplegando una gran efectividad teatral, desde el nervioso inicio hasta el catártico final. 

Sin duda, un gran desafío para un director de escena, y en esta ocasión el Municipal convocó a una verdadera eminencia: el régisseur argentino Jorge Lavelli, radicado desde hace más de 50 años en Francia y nombre de referencia en el ámbito teatral y operístico europeo durante varias décadas. A sus 85 años, Lavelli debutó al fin con la primera Jenufa de su ilustre carrera (esta es sólo la segunda vez que aborda en escena a Janáček: la primera fue en 1986, con El caso Makropulos, en el Colón de Buenos Aires). 

A pesar de su indudable prestigio internacional y si bien la crítica especializada local le brindó muchos elogios, en lo personal Lavelli no me entusiasmó por completo con su puesta en escena, aunque se puede decir que fue de menos a más: el primer acto fue el menos logrado, porque la tensión no fue suficientemente acentuada en los movimientos y actitudes de los protagonistas y faltó más fluidez en los momentos de conjunto; y si bien en el segundo acto aún se notó que faltaba mayor definición y un uso más concreto del espacio escénico, de todos modos logró hacerse presente la tragedia, culminando todo en un muy acertado e intenso acto tercero, que con su buen ritmo y los convincentes desplazamientos de los personajes y el coro, en buena medida terminó por justificar los entusiastas aplausos del público al final del espectáculo. Acentuada por la iluminación que él mismo diseñó junto a Roberto Traferri, Lavelli concibió una producción minimalista, como se hizo notorio en la austera escenografía de Jean Haas, que recurrió a escasos elementos, aunque el muy atractivo y logrado vestuario de Graciela Galán ayudó a configurar un referente estético más definido. 

Si a pesar de sus limitaciones dramáticas y una entusiasta pero irregular dirección orquestal del titular de la Filarmónica de Santiago, el ruso Konstantin Chudovsky (que no siempre equilibró bien las voces de los solistas con el volumen sonoro de la agrupación, y no aprovechó por igual todo el inmenso potencial de tan rica partitura), la producción terminó con un saldo positivo, fue gracias a la buena labor musical y teatral de su elenco de cantantes. Partiendo por quien merecidamente fue la intérprete más aplaudida, en su debut en Chile: la excelente mezzosoprano alemana Tanja Ariane Baumgartner, quien encarnando a Kostelnicka, la "Sacristana", asumió con contundente medios un rol que además de su gran exigencia vocal (suele ser cantado por sopranos dramáticas) es un desafío en lo actoral, que ella abordó con una gran entrega dramática pero sin caer en los desbordes o la caricatura. Como era de esperar, aprovechó muy bien su climax dramático en el segundo acto, estremeciendo con su monólogo, pero también convenciendo en las bellas líneas vocales de su conversación con Steva. Una cantante de ascendente carrera, que ha actuado en escenarios como el Covent Garden de Londres y el Festival de Salzburgo, y este año debutará en el Festival de Bayreuth, como Fricka en La valquiria

Por su parte, luego de Katia Kabanova y Rusalka, la soprano rusa-estadounidense Dina Kuznetsova volvió a inaugurar la temporada lírica del Municipal en el rol titular de una ópera checa. Por tercera vez la volvimos a ver sufrida y melancólica, demostrando de nuevo que es una actriz convincente, pero también una cantante de atractivo color vocal. Junto a ella regresó quien en 2015 la acompañara en Rusalka, el tenor eslovaco Peter Berger; en esa ocasión encarnó al Príncipe, pero en esta nueva actuación en Chile, el papel de Laca, mucho más interesante y complejo en lo psicológico, le permitió dejar además una mejor impresión como cantante, abordando muy bien las exigencias de registro del personaje. Y debutando en el Municipal, su compatriota, el también tenor Tomáš Juhás, fue un eficaz Steva, algo exagerado en sus movimientos en el acto primero, pero mucho mejor en los dos siguientes. 

Además de los intérpretes internacionales, hay que resaltar la excelente labor de los cantantes chilenos, tanto en el caso del Coro del teatro que dirige Jorge Klastornik, como en los solistas que encarnaron los otros nueve roles de la ópera, comenzando por la única intérprete que cantó también en el estreno en Chile de Jenufa: la mezzosoprano Lina Escobedo, quien en 1998 fue la tía de la protagonista, y ahora encarnó con calidez a la entrañable y muy presente abuela Buryjovka. 

Siempre son ingratas las comparaciones, pero a título personal no puedo dejar de apuntar que en su regreso, esta nueva versión de Jenufa no logró superar a la inolvidable producción de 1998, que gracias a una eficaz puesta en escena de Roberto Oswald, una electrizante dirección musical de Jan Latham-Koenig, y un sólido y notable elenco, quedó por siempre entre mis mejores recuerdos operísticos del Municipal. 

foto Patricio Melo

 


 

 

 
 
 

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